Metti un paio di occhiali Ray-ban (rigorosamente a goccia), una partita di beach volley e un bomber in pelle con colletto in pellicciotto (indossato con 30 gradi). Come d’incanto comincia un salto temporale fino alla metà degli anni Ottanta. Come se quasi quarant’anni non fossero mai trascorsi, almeno per chi nel 1986 c’era. O come se fosse invece una novità assoluta, per quelli che sono nati dopo. Ecco la magia di Top Gun che a metà degli anni Ottanta cambiò il costume e i desideri del pubblico giovane di allora. E che ora, dopo l’uscita di Top Gun: Maverick (il sequel) che ha polverizzato tutti i record di incassi, riporta in luce tendenze che hanno fatto la storia degli anni Ottanta. Non si tratta solo di un fenomeno di costume, è molto di più.

Se i Ray-ban non erano una novità negli anni Ottanta, diciamo però che Tom Cruise nel film di Tony Scott li ha trasformati in un’icona. Stessa cosa vale per quel giubbotto che dopo l’uscita del film, almeno per un ventennio, ha avuto tantissime imitazioni. Poi c’è il beach volley: negli anni Ottanta si giocava soprattutto a pallavolo, nelle scuole, durante l’ora di educazione fisica, in palestre piccole, con il soffitto basso e reti sbrindellate. Tom Cruise (Maverick) no. Lui e Val Kilmer giocavano a beach volley a torso nudo (ma con i jeans addosso e 35 gradi), con i muscoli che guizzavano sotto il sole e con un’idea in testa: “Migliorare nella ricezione” (celebre la battuta di Maverick a Goose).

Ora il sequel di “Top Gun”, pellicola diretta nel 1986 da Tony Scott: “Top Gun: Maverick”, per la regia di Joseph Kosinski, apre uno stargate. Nella prima pellicola, per quei pochi che non l’avessero vista, Tom Cruise presta il volto a “Maverick” Mitchell, tenente della Marina americana che entra nella scuola di piloti Top Gun. Subito dimostra incredibili abilità in volo e presto contende al tenente “Iceman” Kazinsky (Val Kilmer) la palma di miglior pilota del gruppo. Tuttavia la temerarietà di Maverick non è vista di buon occhio dai superiori. Il pilota intreccia una relazione con la docente di astrofisica Charlie (Kelly McGillis) e rischia la vita durante un volo di esercitazione che provoca la morte del suo amico fraterno “Goose” (Anthony Edwards). Dopo un periodo difficile, Maverick si riprende, ottiene il brevetto da Top Gun ed è alla fine il gran protagonista di una missione nell’Oceano Indiano durante la quale abbatte una serie di Mig sovietici. Rientrato sulla portaerei Enterprise è acclamato come un eroe dai colleghi. Top Gun è un film in cui si sente con forza il clima americano degli anni ‘80 tra propaganda reaganiana e scene spettacolari girate nei cieli. La sceneggiatura è ricca di retorica mentre il protagonista, un eroe bello e senza macchia segnato dalla storia familiare (il padre era un pilota-eroe scomparso durante una missione segreta), sembrava poco credibile. La critica aveva bocciato il film, ma Top Gun si è rivelato un grande successo al botteghino (oltre 350 milioni di dollari incassati). E quella battuta finale tra Tom Cruise e Val Kilmer (con tanto di abbraccio finale e con Maverick che viene sollevato a braccia come un eroe), è un’altra testimonianza di come critica e pubblico viaggino (da sempre) su mondi paralleli: “Senti!”, dice Val Kilmer, “continui a essere pericoloso, ti concedo di essere il mio aereo di appoggio!”. “Balle!”, risponde Cruise, “sarai tu il mio!”. Stupenda!

Adesso tocca a Tom Cruise addestrare la squadra di allievi dell’accademia Top Gun per una missione segreta, dove oltre a ritrovare Iceman (Val Kilmer imbolsito) incontra il tenente Bradley Bradshaw (Miles Teller), figlio di Goose, suo vecchio compagno di volo e miglior amico morto nell’incidente che ha segnato le loro vite. Nel sequel non c’è Kelly McGillis, indimenticabile con quella cascata di capelli biondi (che nel 2019 ha detto no al sequele perché “ormai vecchia e grassa”). Nel cuore del capitano Pete Maverick Mitchell, ora, entra invece la fulgida Jennifer Connelly-Penny Benjamin. Il film è dedicato alla memoria del regista del primo Top Gun. Tony Scott (1944-2012), fratello di Ridley (Blade Runner, Alien, giusto per citare due capolavori), che prima di morire aveva iniziato a lavorare proprio al sequel del suo film più famoso e di maggior successo.

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