Clarence Thomas, secondo giudice afroamericano nella storia della Corte suprema americana e baluardo del conservatorismo giurisprudenziale più schietto, nei giorni scorsi ha finalmente ammesso di aver goduto di tre vacanze pagate dal ricchissimo immobiliarista texano Harlan Crow, grande finanziatore del partito repubblicano.

Da un certo punto di vista è un peccato, da un altro è un sollievo.

È un peccato perché il lungo silenzio di uno dei nove massimi sacerdoti del diritto americano sui costosi favori che ha incassato getta un’ombra su tutta la Corte, già molto contestata politicamente per la sua composizione sbilanciata a destra e per alcune sue scelte ultraconservatrici. Ma soprattutto l’ammissione rende più opaca la figura di Thomas, per alcuni versi la più interessante e insolita nel panorama del conservatorismo americano. Nato da una famiglia afroamericana poverissima, abbandonato dal padre e cresciuto con severità prussiana dal nonno materno, dopo una gioventù di studio (laurea in legge ad Harvard ma anche in letteratura inglese, per liberarsi del retaggio di un’infanzia culturalmente misera e del dialetto creolo appreso come prima lingua) si impegnò politicamente a sinistra. Poi la folgorazione conservatrice sotto l’ala di John Danfort, prima procuratore generale del Missouri e poi senatore repubblicano. Sono gli anni in cui Thomas cambia idea sulle politiche per le pari opportunità etniche, e si convince che la laurea di un nero ammesso in un’università prestigiosa attraverso una corsia riservata non verrà mai presa sul serio. Da qui lo scetticismo sulle azioni politiche di promozione delle minoranze, che infiacchirebbero le motivazioni del singolo anziché rendere più giusta ed equilibrata la società. Posizioni che si declineranno in un nettissimo tradizionalismo giuridico quando approderà alla Corte Suprema nel 1991, indicato da Bush junior e confermato dal Senato con il voto più risicato da due secoli per la nomina di uno dei novi Saggi, una maggioranza di 52 a 48 che dimostra efficacemente quanto le accuse di molestie sessuali che in quei giorni gli lanciò la sua ex assistente Anita Hill avessero eroso il suo indice di gradimento anche fra i repubblicani della Camera alta.

Ma se l’ammissione dei favori avuti dal riccone texano quindi scalfisce un profilo autorevole e insolito di self made man del diritto, al tempo stesso è un sollievo perché da oltre un anno lo stillicidio di rivelazioni imbarazzanti sul giudice stava creando un clima pesante, con le lettere aperte di giuristi che hanno collaborato con lui e mettono la mano sul fuoco sulla sua integrità e gli scoop via via più consistenti dei giornalisti, in particolare quelli di Pro Publica, che ne rendono sempre più controversa la figura di arbitro imparziale e impeccabile. La speranza ora è che Thomas dica una complessiva parola di verità su tutti i vantaggi che ha silenziosamente ottenuto in questi anni, e soprattutto che la Corte detti all’unanimità un codice di comportamento chiaro e inflessibile per i propri componenti, consentendo al presidente John Roberts di conseguire un obiettivo etico e di trasparenza che finora gli è sfuggito.

Il guaio è che i viaggi ammessi dal Clarence (passeggero non pagante sugli aerei privati di Crow in tre occasioni, anche per andare in vacanza con la moglie in una villa dell’immobiliarista nello stato di New York) sono solo una parte minima di quelli conteggiati dalla stampa.

Un’inchiesta di Brett Murphy and Alex Mierjeski per ProPublica, riportata il 10 agosto dalla storica Heather Cox Richardson nella sua newsletter quotidiana “Letters from an American” (consigliatissima per chi vuole farsi un’idea più puntuale dell’attualità politica statunitense), calcola “almeno 38 destinazioni di vacanza, incluso un viaggio precedentemente non dichiarato su uno yacht intorno alle Bahamas; 26 voli con jet privati più altri otto in elicottero; una dozzina di pass Vip per eventi sportivi professionistici e universitari; due soggiorni in resort di lusso in Florida e Giamaica; un invito permanente a un golf club super esclusivo con vista sulla costa atlantica”. Non solo: il 4 maggio Richardson aveva dato conto di un’altra inchiesta di ProPublica, firmata da Joshua Kaplan, Justin Elliott e Alex Mierjeski, che spiegava come Crow si fosse fatto carico per 150mila dollari della retta scolastica di un nipote di Thomas.

Molto più risalente l’episodio ricostruito sul Washington Post da Emma Brown, Shawn Boburg e Jonathan O'Connell: nel 2012 l’attivista repubblicano Leonard Leo fece versare alla associazione Judicial Education Project (di cui era consulente) decine di migliaia di dollari a Ginni Thomas, moglie del giudice, raccomandandosi di non far apparire il nome della donna nei registri contabili. Nello stesso periodo la Judicial Education Project presentò un caso davanti alla Corte suprema, dove siede Thomas.

Non è l’unica volta che la signora Thomas finisce sulle cronache. A marzo del 2022 i media raccontarono le raffiche di messaggi che nel 2020, dopo le presidenziali vinte da Biden e prima dell’assalto dei trumpiani al Congresso, la donna inviò all’allora capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows, supplicandolo di agire per capovolgere il risultato del voto: «Salvateci dalla distruzione dell'America da parte della sinistra». E tre mesi dopo, a giugno 2022, emerse aveva fatto pressione su 29 deputati dell’Arizona perché ribaltassero l’esito delle elezioni indicando dei Grandi Elettori che, nonostante il risultato elettorale, avrebbero votato come presidente Trump e non Biden.

Abbastanza per rendere ancora più opaca la figura di Thomas, ma di gran lunga insufficiente per pensare a una sua rimozione. Per mandare via uno dei nove Justice serve un atto di accusa formulato dalla Camera dei Rappresentanti e una maggioranza dei due terzi in Senato che lo appoggi. Non a caso i precedenti sono meno che scarni: l’unico giudice supremo sottoposto a impeachment fu Samuel Chase nel 1804, e la procedura si concluse l’anno successivo con un’assoluzione in Senato.

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