La ricerca delle proprie origini, la storia delle piccole comunità e delle piccole città attirano sempre più interesse. E la giornata del trekking urbano, organizzata in tutta Italia il 31 ottobre scorso, ne è la dimostrazione più evidente: a Tempio è stata un successo. L’appuntamento, dal titolo accattivante (“Una sana follia. Alla scoperta del territorio attraverso i suoi personaggi”), ha incuriosito gli amanti di questo genere di eventi, e la risposta dell’antico capoluogo della Gallura non poteva non essere adeguata. Anche perché la scelta della guida non poteva essere migliore. A illustrare i segreti, fuori e dentro i maestosi palazzi di granito costruiti dalla vecchia borghesia cittadina - in qualche caso diventata nobile pagando il giusto prezzo alla Corona - è stato Nicola Vasa, ormai una sorta di istituzione e punto di riferimento culturale.

Nicola Vasa (foto concessa)
Nicola Vasa (foto concessa)
Nicola Vasa (foto concessa)

Laureato all’Accademia delle Belle Arti di Roma, designer, progettista d’interni e di “cose” e anche molto altro, da un po’ di tempo si diverte nel nuovo ruolo che lui stesso si è ritagliato negli ultimi anni: lo storico peripatetico. È stato lui a scegliere il tema “tempiese” (“Poeti fuori dalle righe”) e il percorso, composto da cinque tappe: la chiesa di Sant’Antonio, il chiostro degli Scolopi, la chiesa di San Francesco, l’ex mercato civico, una volta prigione, e la chiesa di Santa Croce. Quattro poeti: Bernardo Sansan, don Baignu Pes, Giulio Cossu e Matteo Pirina “Cuccheddu”. Ovvero, i cantori di Tempio, dei suoi vizi e delle sue virtù. I loro versi sono stati declamati dallo stesso Vasa e cantati da Vincenzo Murino accompagnato dalla chitarra. Un evento di assoluta straordinarietà seguito da oltre un centinaio di persone. Tutte animate dalla curiosità e dal desiderio di scoprire la genesi di quei palazzi grigi e austeri conosciuti da sempre, di quelle chiese più o meno imponenti e comunque legate alle vicende di una città dal passato importante che oggi nessuno sembra ricordare.

Per questo il lavoro di Vasa assume una rilevanza ancora maggiore. Pochi sanno che le ricche famiglie tempiesi sono diventati tali, come ovunque, con lo sfruttamento delle fasce deboli della popolazione, la costrizione, le vessazioni. “No’ deti la culpa a lu malassultatu di di’ chi sia da lu pocu agghjutu chi éu agghju cunnisciutu ch’è tuttu da la solti signalatu. L’agghjutu è bonu però no impolta si la fultuna c’è cuntraria e tolta” (Non date la colpa al disgraziato, è il destino che ha segnato la sua sorte). Il poeta Cuccheddu (1843-1905), da par suo, denuncia nei versi la vita di privazioni dei pastori e dei contadini galluresi, strozzati con soccide capestro dai padroni ai quali dovevano rendere la quasi totalità dei frutti del loro lavoro. Lui gli ultimi li chiama “malassultati”, letteralmente perseguitati dalla malasorte, ovvero negletti, derelitti, e accusa gli altri di non avere sensibilità, ammonendo: “lu mundu è una rota chi ghjra e la molti no mira nemmancu a la primma nobbiltài”, il mondo è una ruota che gira e la morte non guarda in faccia nemmeno ai nobili più in vista. L’ex carcere pare sottolineare le parole di Vasa.

E ancora: il vecchio, ricchissimo don Gavino Misorro, che muore in solitudine nel suo palazzo di pietra con le foglie di giglio scolpite nei capitelli sottogronda a ostentare tutto il suo potere. E la chiesa di sant’Antonio, dove sul finire del Seicento avvenivano le investiture di “Cavaliere Nobile Don” - allora la Sardegna era dominata dagli spagnoli. Sono solo alcune perle estrapolate da un pomeriggio intenso durante le tappe del percorso. «Non pensavo che la storia della nostra città fosse tanto sconosciuta, se non addirittura ignorata, così ho pensato di trasmettere il mio piccolo sapere», ha spiegato Vasa. Che da anni non smette di consultare i Quinque Libri, enorme e inestimabile registro o diario di mezzo millennio messo a disposizione dalla Chiesa, da cui trae certezze sulle date e sui nomi e spunti per i suoi studi.

Ecco, tutto è partito da una semplice osservazione che si è fatta subito seria. Appuntamenti settimanali per gruppi di dieci, massimo 15 persone, inizialmente turisti ai quali gradualmente si sono aggiunti, sempre più numerosi, anche i tempiesi. Si parte dallo “Studiolo di arti e mestieri”, il laboratorio di Vasa, quartiere Sant’Antonio, al piano terra di un palazzotto nobiliare. A qualche metro dagli imponenti palazzi dei Pes di Villamarina, tra gli edifici più importanti di tutta la Gallura, non solo di Tempio, sede del Comando dei carabinieri e dei Bersaglieri, in anni più recenti anche dell’Ispettorato forestale e della defunta Provincia di Olbia-Tempio.

L’ultimo trekking urbano in città, tuttavia, è destinato a diventare una pietra miliare. Intanto perché parlare di poesia non è semplice, e poi perché parlarne nella lingua originale, che in famiglia quasi non si parla più, complica maledettamente il compito. Che non si trattasse di una normale “passeggiata”, Vasa lo sapeva molto bene: «Ci hanno insegnato che la nostra è una lingua minore e che i nostri poeti sono meno che marginali. Non sono d’accordo». E ha ragione. Barba folta, bianca, presenza imponente, aspetto quasi ieratico, Nicola Vasa è una specie di “trovatore” che, però, non canta. Lui racconta storie, declama versi, spostandosi da un punto all’altro di Tempio, a una piccola platea che ha voglia di ascoltarle e di sentirsi partecipe di un passato che non è più e mai più sarà. D’altronde, la sua pagina Facebook non si chiama a caso “Tempio: storie di una città perduta”, perché anche per ricordare bisogna conoscere. 

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