Morire a 21 anni è molto rock, ma Stuart Sutcliffe ne avrebbe fatto volentieri a meno. Lui del resto il rock l’aveva frequentato e già mollato, all’emozione elettrizzante del palco e della musica assordante preferiva quella “a rilascio lento” della pittura. E aveva fatto la sua scelta: aveva abbandonato i Beatles. Lasciando loro però un’eredità fatta di stile, fascino, cura dell’immagine. Secondo molte ricostruzioni, anche un bene preziosissimo: il nome della band.

Anche Sutcliffe era un ragazzo di Liverpool (pur essendo nato nel 1940 a Edimburgo: la famiglia si era trasferita quando aveva tre anni). Frequentava lo stesso liceo artistico di John Lennon, suo coetaneo e grande amico. Avevano in comune l’introspezione, la voglia di non accontentarsi di una vita ordinaria, l’amore per il bello e per l’arte. Impossibile per lui non farsi coinvolgere da John nelle sue avventure musicali: fino al luglio del 1961, Stuart fu il quinto Beatle.

Poi decise che non era la musica il suo destino, e uscì dal gruppo per seguire due amori: per i pennelli e per la fotografa Astrid Kirchherr. Non sapeva di essere già minato dal male che lo avrebbe ucciso nell’aprile successivo. In questi giorni ricorrono i 60 anni della sua scomparsa, che fu un terribile choc per i suoi ex compagni, soprattutto per Lennon.

Compagni di scuola

Negli anni del liceo, Stuart Sutcliffe era un ragazzo dalla bellezza imbarazzante e di poche parole. Il suo precoce talento artistico lo aveva guidato in un percorso figurativo già evoluto in uno stile personale, per quanto acerbo. Con la musica il rapporto era meno intenso. Stu, come lo chiamavano gli amici, aveva preso lezioni di pianoforte e strimpellava la chitarra. Più che altro, cantava bene. A John Lennon serviva un bassista per la band che stava mettendo insieme, e ritenne più semplice allevarne uno “in casa”. Così, insieme a Paul McCartney, convinse Stuart a comprare un basso e a impararne la tecnica.

Lennon non amava il nome del complesso, “The Quarrymen”. Come sia realmente nato quello che poi li rese famosi, in parte rimarrà per sempre un mistero. Ma pare certo che Sutcliffe abbia avuto un ruolo decisivo. Sarebbe stata sua, per la precisione, l’idea di ispirarsi alla band di Buddy Holly, “The Crickets” (I grilli). Una sera Lennon era al bar con la fidanzata Cynthia quando arrivò Stu e gli propose il nome Beetles (scarafaggi).

Il gioco di parole successivo, che aggiungendo una A introduce il riferimento alla Beat Generation allora così in voga, è tradizionalmente attribuito a Lennon. Lui, nel 1961, in un articolo umoristico su una rivista scrisse che gli fu suggerito durante una visione mistica di un uomo su una torta in fiamme. Tempo dopo, il poeta beat Royston Ellis affermerà di averglielo proposto lui: la torta in fiamme, in realtà solo bruciacchiata, era quella che aveva cucinato durante un pomeriggio a casa di John.

Gli esordi

Sutcliffe condivise i primi passi dei Beatles con Lennon, McCartney, George Harrison e il batterista Pete Best, che ancora non aveva ceduto le bacchette a Ringo Starr. Partecipò alle prime, leggendarie trasferte ad Amburgo, in cui il gruppo iniziò a farsi conoscere fuori dalla cerchia degli amici di Liverpool. Ma a quel punto serviva un salto di qualità nelle performance. Stu suonava in maniera piuttosto scolastica e i compagni iniziavano a spazientirsi; il più severo con lui era Paul, forse anche un po’ geloso del rapporto che Sutcliffe aveva con Lennon. Ma quando anche John arrivò a lamentarsi col suo amico, quest’ultimo capì che era giunto il momento di dare una svolta al suo destino, e scendere dal palco.

Stuart Sutcliffe (al centro, col basso) sul palco insieme ai Beatles (da Wikipedia)
Stuart Sutcliffe (al centro, col basso) sul palco insieme ai Beatles (da Wikipedia)
Stuart Sutcliffe (al centro, col basso) sul palco insieme ai Beatles (da Wikipedia)

Nel frattempo però ad Amburgo aveva trovato l’amore. Anche questo sembra un gioco del destino: Klaus Voormann stava girando a casaccio nel quartiere di St. Pauli per sfogare il nervosismo dopo una lite con la sua ex fidanzata Astrid Kirchherr, ed entrò nel club in cui si stavano esibendo Lennon e soci. Era una musica nuova, e il giorno dopo Voormann portò Kirchherr ad ascoltarli. I due divennero prima fans, e poi ottimi amici dei Beatles.

Era il 1960. Astrid, ventiduenne, era già un’ottima fotografa, e molte delle istantanee da lei scattate in quel periodo restano tra le più belle del gruppo. Frequentava una scuola d’arte simile a quella di John e Stu. Con quest’ultimo, la comunanza di interessi si trasformò presto in una passione forte, che il ritorno della band in Inghilterra a fine anno non riuscì a offuscare.

Fuori dal gruppo

Pur non lasciando il segno come bassista, Stu influenzava i compagni nelle questioni di look. A partire dal vistoso ciuffo di capelli sui Ray-Ban scuri. E lui, a sua volta, era molto influenzato dallo stile bohémien di Kirchherr. Quando i cinque ragazzi di Liverpool ottennero un altro contratto con un locale di Amburgo, nel marzo del 1961, Stu poteva ormai vivere pienamente la storia con Astrid. Ma la stagione tedesca della band non era che una parentesi. Anche per questo, oltre che per i limiti col basso, all’inizio dell’estate Sutcliffe annunciò a Lennon la decisione di lasciare il gruppo e di iscriversi all’accademia d’arte locale.

John Lennon (Archivio US)
John Lennon (Archivio US)
John Lennon (Archivio US)

Furono pochi mesi, ma i più felici nella breve esistenza di Stuart Sutcliffe. Viveva con Astrid, in un contesto aperto alle più moderne tendenze artistiche dell’epoca; studiava, dipingeva. Superati gli attriti sulla musica,  Lennon da Liverpool gli scriveva lettere piene di affetto. L’unico problema erano quei mal di testa ormai frequenti.

Uno di quelli, nel febbraio del 1962, fu così forte da farlo crollare a terra svenuto. I controlli medici non misero in evidenza niente di particolare. Ma il 10 aprile Stu ebbe un altro collasso. Morì sull’ambulanza, chiamata da Astrid, che lo portava al pronto soccorso. Aveva 21 anni, 9 mesi e 18 giorni. Emorragia cerebrale provocata da un aneurisma, dissero i medici. L’autopsia svelò come probabile causa originaria una minifrattura cranica non diagnosticata, conseguenza di un pestaggio subìto nel gennaio del 1961 all’uscita da un bar, quando era caduto sbattendo la testa.

I compagni sotto choc

Per un altro scherzo del destino, John Lennon era atterrato ad Amburgo insieme a John Lennon e Pete Best, per una nuova stagione di esibizioni coi Beatles, proprio nelle ore in cui moriva il suo amico. Ignari di tutto, i tre il giorno dopo andarono all’aeroporto ad aspettare l’arrivo di George Harrison col manager Brian Epstein. Non si aspettavano di incontrare al terminal Astrid e Klaus Voormann: “Dov’è Stu?”, chiese John. “È morto”. La ragazza era lì per accogliere la madre del suo fidanzato.

La reazione di Lennon, racconterà anni dopo Kirchherr, fu terribile: “Lo ricordo su una panchina, chino in avanti, tremante. Urlava e oscillava avanti e indietro”. Anche gli altri Beatles erano sotto choc. “Provavo anche un certo senso di colpa – confesserà poi McCartney, che nel frattempo aveva sostituito Stu al basso – perché non ero stato il suo migliore amico”. La band però non si dimenticherà di lui, e inserirà la sua foto tra i tanti personaggi sulla storica copertina dell’album “Sergent Pepper’s lonely hearts club band”.

Dopo quella tragedia, Astrid Kirchherr continuò a lavorare come fotografa (anche insieme ai Beatles, sul set del film A hard day’s night), poi come artista e imprenditrice. Nel 1967 sposò un altro musicista di Liverpool, Gibson Kemp, batterista che aveva preso in una band minore il posto di Ringo Starr, passato ai Beatles. È morta nel 2020 a quasi 82 anni. John Lennon mantenne con lei un rapporto di amicizia e affetto. Fino al giorno in cui anche lui, nel 1980, come Stu fu strappato troppo giovane alla vita da un’assurda svolta del destino.

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