Graziano Mesina è arrivato fino ai nostri giorni e ancor oggi le cronache parlano di lui, la Primula rossa del banditismo sardo, di nuovo latitante e nella lista dei ricercati che continuano a far impazzire le forze dell'ordine. Ma la Sardegna, nei secoli dei secoli, ne ha sfornato di nomi, miti che hanno varcato il Tirreno, entrati negli annuali storici che ne raccontano la vita. Storie che hanno sempre affascinato i lettori, come fossero romanzi, perché dal singolo personaggio vengono fuori ritratti di famiglia di un'epoca in cui le donne hanno avuto un ruolo chiave, a protezione delle gesta criminali di un marito, un figlio o un fratello. Di alcuni, come Giacomo ed Elias Serra Sanna, si hanno descrizioni molto precise nei libri sul banditismo sardo (uno su tutti "La legge e la macchia" di Elettrio Corda): fratelli senza scrupoli, uno più duro e sanguinario dell'altro, i latitanti più famosi nelle cronache di fine Ottocento, morti e ammazzati il 10 luglio 1899 durante il conflitto di Morgogliai nel Supramonte orgolese. Dietro il loro protagonismo c'è una donna, la sorella, Mariantonia, scaltra, intelligente e crudele, "sa reina" per i nuoresi di allora, che andava di casa in casa a raccogliere denaro per i fratelli latitanti, da lei sempre consigliati e ben informati. Nel 1900 arrivò anche per Mariantonia Serra Sanna il giorno del giudizio: la condanna a 18 anni di carcere.

Il detto “dietro un grande uomo c’è una grande donna” vale anche per i banditi, seppure la grandiosità si riferisca a gesta criminali: come Peppa Lunesu, bella e intelligente consigliera dei Serra Sanna, diplomata dalla Regia scuola Normale femminile: l'arma della seduzione le servì a far invaghire un ufficiale dei carabinieri, subito trasferito di sede.

Storie che i nonni hanno sempre raccontato ai nipoti, con dovizia di particolari che ne hanno esaltato le gesta, finendosi per considerare eroi gran parte degli uomini della macchia, inseguiti da decine di ordini di cattura e con omicidi, rapimenti, violenze sul curriculum. Ma la Sardegna non dimentica e, di anno in anno, rispunta qualche tragico episodio del passato. Con dolore, ravvivato dalla foto che la ritrae con il suo cane, si ricorda Maria Molotzu, la figlia di sette anni del podestà di Bono sequestrata e uccisa dalla banda Pintore nel 1934. La madre della piccola, Maria Carta, morì di crepacuore come il padre, quando ritrovarono il cadavere carbonizzato della bimba.

Risalendo molto più indietro negli anni, un'altra figura mitica era quella di Giovanni Corbeddu Salis, il "Re del bosco", "l'Aquila della montagna", mai soprannomi furono più azzeccati per descriverli: 18 anni di latitanza, omicidi, violenze e saccheggi per una taglia di ottomila lire, una condanna a morte in contumacia e una all'ergastolo, fanno di lui uno degli indiscussi protagonisti del brigantaggio sardo, ucciso il 2 settembre 1898 da un carabiniere. Le fotografie sono ancora oggi preziose testimonianze per ricostruire il passato. Scorrendole c'è quella di Antonio Mulas, "su bellu d'Oliana", che giace senza vita dopo lo scontro a fuoco con i carabinieri e un fucile con la scritta "Vincere o morire". Si racconta, invece, che Paolo Solinas di Sarule seppe fare della vendetta un'arte, perseguitando spietatamente il suo personale nemico, l'insegnante Giovanni Antonio Porcu, fino a imporre la chiusura delle scuole elementari, caso unico nella storia. Colpisce il viso di Giovanni Sarritzu, pastore a Mamoiada, latitante dopo aver assassinato l'11 ottobre 1897 Gian Antonio Loche, possidente molto stimato, prima vittima nella sua famiglia della ferocia di Sarritzu. Altro nome (tristemente) famoso nell’Isola, Samuele Stochino di Arzana: la taglia di 200mila lire è la più alta fissata dallo Stato per la cattura del feroce criminale, dalla faccia per nulla cattiva, ma che "uccideva e faceva scempio dei cadaveri" lasciandoci sopra messaggi per le autorità. Sull'Unione Sarda del 21 febbraio 1928 vengono raccontati i momenti più drammatici dell'uccisione della "belva in agguato", colpita a morte il giorno prima. Il testo di uno dei suoi messaggi conservato al Museo storico dei carabinieri di Roma, diceva: "Popolazione di Arzana .....impongono che io sia un malvagio, invece sono una persona e savio ....e non voglio far male a chi non lo merita....Ormai tutti siete al corrente che mi hanno perseguito ingiustamente e io ho cominciato a essere carnefice di questi vigliacchi". Visto in foto sembrerebbe un terribile criminale Raffaele Gusai di Lollove, invece la misera taglia di 200 lire sul suo capo lascia intendere il suo valore.

Facendo un salto in tempi un po' più attuali le cronache del banditismo sardo testimoniano anche un recente passato, costellato dai sequestri dell'Anonima e in particolare dell'Anonima gallurese. Perché è lì, nel lussuoso mondo della Costa smeralda che sono avvenuti i fatti che più hanno avuto un'eco mondiale, quali sono stati i rapimenti di Fabrizio De Andrè-Dori Ghezzi e del piccolo Farouk Kassam. E allora, sfogliando queste pagine di storia, raccolte in tanti testi simboli di un'epoca che ha segnato la Sardegna, si scoprono i volti dei banditi di un tempo, ma anche dei coraggiosi protagonisti dell'Arma, come il brigadiere Lussorio Cau e il capitano Giuseppe Petella che presero parte alla battaglia di Morgogliai, oltre ai nomi di tanti pastori che fecero da paciere in molte liti del mondo delle campagne. Ed ecco che si arriva a Graziano Mesina, il bandito “Grazianeddu” che conoscono i nostri giovani: una lunga storia dal 1960, quando i carabinieri di Orgosolo lo arrestarono per spari e danneggiamenti di cosa pubblica, a oggi, costellata di evasioni, omicidi, carcere, condanne e latitanze. Vita da latitante fino all'ultimo, ancor oggi, dopo aver avuto l'opportunità di assaporare il gusto della libertà.

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