Si fa presto a dire movida. Si fa presto a dire spritz. Né l’una né l’altro sono quello che tutti oggi credono siano. La movida, il ritrovarsi seduti a un tavolino di bar a consumare e bere insieme agli amici l’apericena, orrendo neologismo nato alla fine degli anni Novanta a Torino e dilagato come un fiume in tutta Italia, parola macedonia che sintetizza l’aperitivo con la cena.

Mai come in questi quindici mesi di pandemia, la movida è stata citata, incriminata, processata, e la parola, spoglia del suo originale significato, è diventata solo l’abitudine giovanile più rischiosa per la diffusione del Covid-19. Tra le tante cose perdute in questo difficile tempo, sembra invece resistere il mal vezzo di continuare a chiamare movida la distesa di tavolini, spuntati come funghi davanti ai bar e una vita notturna rumorosa e movimentata. “L’Italia torna in giallo, ma attenti alla movida”. “Coprifuoco sulla movida”. Povera parola, così carica di storia e di più emozionante significato: è vero, la lingua si evolve, ma quando si cristallizza non è sempre in meglio.

Movida segna prima di tutto il riscatto della Spagna dal franchismo. Negli anni Ottanta in Spagna il termine derivante dal verbo “mover” indicava il movimento chiamato “La Movida madrileña”, che esplose spontaneamente dopo gli anni vissuti dal Paese sotto il regime di Francisco Franco, e celebrava la liberazione e le libertà, le idee libertarie di sinistra e la controcultura, nella musica, nelle arti, nella letteratura e nel cinema. L’inizio della “Movida madrileña” viene fatto coincidere con il concerto per José Enrique Cano Leal, il batterista del gruppo Tos morto nel 1979 in un incidente automobilistico. Suonarono al Politecnico di Madrid il 9 febbraio del 1980 e la loro musica venne trasmessa per radio: un momento storico per la città. Quel concerto mise in moto un meccanismo inarrestabile, culminato col leggendario “concerto di primavera” del maggio del 1981 che riunì oltre 15 mila persone e che durò per circa otto ore. Quella prima scintilla generò un movimento sociale e artistico sempre più robusto che contagiò altre città e fu sostenuto politicamente da alcuni sindaci di sinistra, desiderosi di lasciarsi alle spalle gli anni del franchismo.

Se la strade cittadine furono la naturale ribalta della Movida (“Esta noche todo el mundo a la calle” o “Madrid nunca duerme” erano alcuni slogan del tempo), le riviste indipendenti furono il riferimento e il simbolo culturale del movimento: La Pluma Eléctrica, 96 Lágrimas, Du Duá, e soprattutto La luna de Madrid, gestita da artisti o aspiranti artisti e che nel suo periodo migliore raggiunse le 30mila copie: provocatoria, iconoclasta, parlava di fumetti, fotografia, pubblicità e design, letteratura, filosofia, moda, musica, teatro e di ogni altra espressione artistica. Senza dimenticare il cinema di Pedro Almodóvar, massimo esponente del periodo, che in quegli anni girò i suoi primi film: “Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio” (1980), “Labirinto di passioni” (1982), “L’indiscreto fascino del peccato” (1983) e “Che ho fatto per meritare questo?” (1984). Il fenomeno della Movida madrileña durò fino al 1986, fino a che i musicisti e gli artisti che ne erano diventati il simbolo raggiunsero la popolarità e il successo commerciale. Le tensioni emotive di ribellione e riscatto, benzina della movida, si erano esaurite.

In Italia, si legge sull’enciclopedia Treccani, movida appare nella lingua scritta per la prima volta nel 1990 con riferimento alle tensioni culturali e artistiche spagnole, per assumere sempre di più «il significato generico di animazione, situazione, ambiente piacevolmente movimentati». Fino al significato di oggi: fare le ore piccole per la strada, insieme agli amici, magari con un bicchiere di Spritz in mano.

Già, lo Spritz oggi universalmente sposato all’Aperol. Ma il vecchio e caro Spritz, modesto anche nel prezzo, altro non è che vino bianco fermo e acqua minerale. E meriterebbe di essere salvato. Durante l'occupazione ottocentesca di Venezia infatti, gli austriaci presero l'abitudine, per abbassarne il tasso alcolico, di spruzzare (dal tedesco spritzen) in un bicchiere di vino bianco del seltz, acqua minerale con molto: è nato così il vin “sprizato”, più sbrigativamente un onesto Spritz.

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