Il mondo è cambiato: capita sempre più spesso che marito e moglie lavorino in città diverse, vivano in case diverse e si vedano solo nel fine settimana. Considerare le due abitazioni “casa coniugale” e  “seconda casa” (questa come tale non soggetta a esenzione dell’Imu) significa violare tre principi costituzionali: quello di uguaglianza previsto dall’articolo 3,  e quelli sulla famiglia (articolo 31) e la capacità retributiva delle persone (53).

La Corte costituzionale ha analizzato la legge introdotta nel 2011 dal “Salva Italia” che, nel caso di abitazioni separate dei coniugi, negava l’esenzione dell’imposta sugli immobili sul presupposto che marito e moglie facciano parte di un nucleo familiare che risiede nella stessa casa. Se uno dei due vive da un’altra parte deve pagare l’imposta sulla seconda casa.  Ma, si badi bene, la norma vale solo per le coppie sposate o unite civilmente. Per i conviventi di fatto no: ognuno dei due può considerare la propria abitazione come dimora abituale familiare e ognuno dei due ha diritto all’esenzione dall’Imu.

Ecco la violazione del principio di uguaglianza: cittadini sposati o uniti civilmente sono diversi dai conviventi di fatto. Così la Consulta nel giorni scorsi ha dichiarato illegittima quella norma.

La motivazione tiene conto della società contemporanea: “In un contesto di mobilità del mercato del lavoro come quello attuale, caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale”.

La sentenza della Consulta vale anche per i coniugi che vivono in due diverse abitazioni nello stesso Comune. In questo caso, però, la Consulta raccomanda alle amministrazioni di intensificare i controlli sui furbetti della dimora abituale.

In forza alla disciplina illegittima la possibilità di accesso all’agevolazione per ciascun possessore dell’immobile adibito ad abitazione principale viene meno al verificarsi della mera costituzione del nucleo familiare nonostante effettive esigenze possano condurre i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali differenti.

Secondo la Corte costituzionale si tratta di misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile: questo è l’effetto prodotto  dalla norma in conseguenza del riferimento al “nucleo familiare”. Sino a che non avviene la costituzione della famiglia è consentito a ciascun possessore di immobile – che vi risieda anagraficamente e dimori abitualmente – di fruire pacificamente dell’esenzione Imu sull’abitazione principale. Anche se unito in una convivenza di fatto: i due partner in questo caso avranno diritto a una doppia  esenzione perché ognuno potrà considerare il rispettivo immobile come abitazione familiare. Dunque, la scelta di accettare che il proprio rapporto affettivo sia regolato dalla disciplina legale del matrimonio o dell’unione civile determina l’effetto di precludere la possibilità di mantenere la doppia esenzione anche quando effettive esigenze, come possono essere quelle lavorative, impongano residenze anagrafiche e dimore abituali differenti.

La questione è stata sollevata dalla commissione tributaria provinciale di Napoli, la contestazione riguardava il mancato pagamento dell’Imu fra il 2015 e il 2018 nell’abitazione principale di Napoli: il contribuente rivendicava il diritto all’esenzione sul presupposto che l’immobile costituisse residenza anagrafica e dimora abituale del nucleo familiare; il Comune di Napoli aveva negato il diritto perché il nucleo familiare non risiedeva interamente nel medesimo immobile, dato che il coniuge aveva trasferito la propria residenza in un altro Comune.

Secondo la Consulta la norma del 2011 viola l’articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza) nella parte in cui introduce il riferimento al nucleo familiare nel definire l’abitazione principale.

E’ in contrasto anche con l’articolo 31  (“la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento  dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose”): il diritto vivente riconosce l’esenzione Imu o la doppia esenzione solo in caso di frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi e la conseguente disgregazione del nucleo familiare.

La norma non rispetta infine l’articolo 53 della Costituzione secondo il quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (senza riferimenti ai nuclei familiari).

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