Più che una scommessa è un vero e proprio obiettivo al quale non si possono sottrarre gli Stati europei: dedicare risorse e attenzioni ai minori, in particolare ai bimbi che fanno parte delle scuole dell'infanzia (quindi sotto i cinque anni). Tanto che questo, l'attenzione delle istituzioni ai minori, è uno dei parametri fondamentali che influisce sulla qualità della vita di un territorio. La disponibilità, l'accessibilità e la qualità dei servizi per l'infanzia, come gli asili nido, sono fattori decisivi per la crescita di una comunità. E infatti il Consiglio europeo, già diciannove anni fa, aveva stabilito degli obiettivi per la diffusione e la crescita di questo tipo di servizi. «Gli Stati membri del Consiglio europeo devono impegnarsi ad offrire servizi ad almeno il 33% dei bambini sotto i tre anni». A distanza di tanti anni cosa è stato fatto in Italia? E in Sardegna? Ad esempio, gli asili nido pubblici in alcune zone d'Italia rappresentano una fetta minoritaria, rispetto ai privati, dell'offerta data alle famiglie. Uno studio su tutta la situazione è stata svolta nelle scorse settimane dalla Fondazione Openpolis. «L'offerta di posti pubblici in asilo nido è disomogenea. Se in alcune aree, infatti, più del 70% dei posti disponibili sono pubblici (soprattutto in Emilia Romagna, Toscana, nelle province di Pesaro-Urbino e Trento), in altre questa percentuale è molto più bassa». Tra le più basse ci sono quelle dell'Isola. A Cagliari su 2670 solo il 31% sono pubblici, nel Sud Sardegna il 38%, a Oristano il 46, Sassari sale al 48% e Nuoro al 63,8%.

«Nei bilanci dei Comuni esiste una voce dedicata a questo tipo di investimento pubblico. Si chiama Interventi per l'infanzia e i minori e per asili nido e, a differenza delle altre spese in istruzione (per le scuole primarie, secondarie e per l'università), è compresa nella missione Diritti sociali, politiche sociali e famiglia. In questa serie di interventi sono incluse le spese per l'erogazione di servizi e il sostegno di iniziative a favore dell'infanzia e dei minori, comprese le spese a favore di soggetti pubblici, ma anche privati, che operano in questo ambito. Dentro questa voce i comuni possono inserire i sussidi alle famiglie con figli a carico, le indennità per maternità, gli eventuali contributi per la nascita di figli, e soprattutto le spese per i servizi a favore di bambini e bambine in età prescolare: gli asili nido», spiegano gli esperti di Openpolis. Nel 2019 tra i primi dieci comuni d'Italia che hanno investito più risorse in questo settore si trovano due comuni sardi. Il primo posto in assoluto a livello nazionale va a Villa San Pietro per spesa pro capite (98 euro) con un importo complessivo di due milioni e 121.130; settimo invece Pau con 353 euro pro capite e un totale di oltre un milione.

Tra i capoluoghi sardi Cagliari ha speso 7.691.012 euro (pro capite 50 euro), gli amministratori di Oristano e Nuoro non hanno inserito le spese relative a un determinato ambito nella voce dedicata, a discapito di un'analisi completa, Sassari ha invece speso poco più di otto milioni (ogni residente ha contributo per 64 euro), Iglesias 6 milioni e 600 mila (25 pro capite) e Carbonia 8 milioni e 400mila (30 euro pro capite).

«Nonostante una domanda che esiste, in tante aree del paese l'offerta di asili nido è ancora carente, oppure manca del tutto. Anche per far fronte alla necessità di asili in questi territori, oltre 10 anni fa furono introdotte le sezioni primavera. Sono classi delle scuole dell'infanzia destinate ai bambini tra 2 e 3 anni. Possono eventualmente anche essere aggregate ai nidi. Danno la possibilità ai bambini più piccoli di iscriversi evitando l'inserimento in un contesto - quello della scuola pre-primaria - che per un bimbo con meno di 3 anni non sarebbe idoneo», concludono gli esperti di Openpolis. Peccato però che soprattutto nel Sud dell'Italia anche con questa soluzione le carenze non mancano. Così come in Sardegna.
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