R come rinascita. C’è una generazione che non si ferma: è quella colpita dal Covid, due anni e rotti di stop a lavoro, socialità, scuola, sport, svago. Vita.
Due anni che hanno fiaccato moltissimi, in tutto il mondo, e ne hanno spronati altri, verso il futuro, nonostante la guerra, la crisi energetica, la paura. Avanti, comunque sia. Filippo Poletti è tra questi: dice che si limita a raccontarlo, in realtà è il primo a farlo. Milanese, cinquant’anni, giornalista professionista, Top voice di LinkedIn Italia che su quel social cura una bella rubrica quotidiana dedicata ai cambiamenti del mondo delle professioni, ha conseguito l’executive MBA alla POLIMI Graduate School of Management di Milano. Ed è proprio lì che gli è venuta l’idea del libro, appena dato alle stampe per Lupetti, dal titolo “MBA Power: innovare alla ricerca del proprio purpose”: 232 pagine per dar spazio a 101 storie, quelle dei suoi compagni di corso, persone fra i 30 e i 60 anni di tre diversi continenti, che hanno affidato la loro rinascita professionale alla business school del Politecnico di Milano, con ciò testimoniando che l’Italia è una destinazione anche per la formazione.

 «In un’epoca dominata da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità», dice Poletti, «per stare al passo con il sapere fluido dobbiamo imparare, disimparare e imparare di nuovo, acquisendo nuove competenze, sia dure che soffici. Per questa ragione, ai tempi del coronavirus, della guerra in Ucraina e dello spettro della crisi economica, io e tanti altri colleghi ci siamo messi a studiare e ristudiare (e continueremo a farlo) come si governa la trasformazione digitale, come si fa innovazione radicale o incrementale, come si sviluppa il pensiero progettuale, come si mette in piedi una startup oppure come si gestisce il cambiamento in azienda».

L’idea è innovativa perché parte dallo studio, dai libri, dalle competenze, si traduce in pratica e da lì va a costruire un mondo nuovo. «Abbiamo aggiornato la nostra cassetta degli attrezzi», sottolinea Poletti, «comprese le competenze in ambiti strategici come l’economia internazionale e industriale, la contabilità finanziaria, i processi aziendali e la catena di approvvigionamento. Siamo diventati nuovi professionisti. Siamo rinati».

Tra i protagonisti dei racconti ci sono donne e uomini che durante la pandemia sono diventati genitori, studenti-lavoratori che hanno seguito da remoto le lezioni sotto le bombe russe a
Kiev, professionisti provenienti da Paesi come Colombia, Cile, Perù, Bolivia o Cina atterrati a Milano per frequentare le lezioni. C’è anche un sardo, come poteva essere altrimenti?: si chiama Carlo Piredda, è un economista nuorese di 43 anni che vive da tempo a Milano pur conservando solide radici nell’Isola.

Filippo Poletti (foto concessa)
Filippo Poletti (foto concessa)
Filippo Poletti (foto concessa)

Sono diversi i filoni narrativi del libro, a cominciare dal cambio di passo sul lavoro di chi, mentre rinasceva sui banchi di scuola, ha dato una svolta alla carriera cambiando nazione o passando da una multinazionale a una pmi; c’è poi chi ha lanciato una startup come Ecircular, ideata da Alessandro Giudici per stimolare l’adozione di scelte orientate ai principi dell’economia circolare da parte dei cittadini, o Play4future, piattaforma digitale progettata da Ghaieth Guerine per coniugare l’intrattenimento con l’educazione alla sostenibilità e all’inclusività.

«La proposta, stella polare dei nuovi manager – sottoliena Poletti – è la creazione responsabile di un futuro sostenibile che metta al centro del fare impresa l’impatto sociale. Per concretizzare tutto ciò, ai tempi dell’innovazione senza frontiere, è necessario fare un gioco di squadra. Nessun professionista e nessuna organizzazione possono affermare di avere tutto il sapere del mondo necessario per conquistare la terra promessa della crescita sostenibile. Il futuro sarà in grado di soddisfare le nostre necessità, senza compromettere quelle di chi verrà dopo di noi, se sapremo attingere alla conoscenza diffusa, quella che gli anglosassoni chiamano il “saper dove”. L’epoca della Generazione R come Rinascita è varia, plurale, creativa e innovativa».
Frequentare il corso non è stata una passeggiata per uno come Poletti che ha una formazione umanistica: «Insieme a tutti gli altri mi sono rimesso in gioco, nell’entusiasmo generale. Così ho voluto raccontare quello che ho visto, le storie dei miei compagni di corso. Per me sono stati due anni straordinari che ho voluto testimoniare da giornalista. Frequentare la scuola di alta formazione del Politecnico di Milano per me è stata la prova più dura della mia vita: l’impostazione era quella dell’ingegneria gestionale, mi sono dovuto confrontare col mondo scientifico. Del resto sono convinto, e non da ora, che per affrontare il mondo del lavoro occorra essere umanisti e scienziati. Perché l’ho fatto? Mi sono reso conto che mi mancava la visione d’insieme del mondo del lavoro, del fare impresa. Ho detto “studiamolo”. È una laurea di primo livello».

Non lo dice ma, visto il suo curriculum professionale, c’è da scommettere che ha ottenuto il massimo dei voti con lode. «Questo non scriviamolo». Allora è vero. Ma subito passa oltre e riporta l’attenzione sul suo libro: «Sono molto contento di aver dato voce a un movimento straordinario, uomini e donne che si mettono in gioco per andare oltre le difficoltà alla ricerca del proprio purpose, o scopo, parola derivata dal verbo inglese propose e traducibile in italiano come “proporre”». Che poi, è proprio quello che ci serve.

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