E all’improvviso tanta energia. Ciò che è statico diventa mobile in “Minimal/Maximal”. Perché Alexander Calder, scultore statunitense, ha levato dalle sue opere la massa, il peso gravitazionale, il volume e ha lasciato le sue “mobiles” libere di fluttuare. Sicuro che sarebbe rimasta solo l'arte. Non è davvero un caso che siano proprio le sue affascinanti “creature” a dominare la sala con le vetrate della Neue Nationalgalerie di Berlino, punto di riferimento dell’arte del ventesimo secolo, finalmente riaperta la pubblico, il 22 agosto, dopo un lungo e impegnativo restauro.

Come è stato possibile stare sei anni senza questo gioiello dell’arte? Sei anni e 140 milioni di euro. Tanto tempo e tante risorse economiche sono state necessari per restituire al suo splendore l'ultima opera creata nel Vecchio Continente dal pioniere della Bauhaus, Ludwig Mies van der Rohe, prima del suo definitivo trasferimento negli Stati Uniti.

Il lavoro di ristrutturazione dell’edificio in vetro e cemento porta invece la firma di un grande architetto contemporaneo, David Chipperfield. Per ricreare la Neue Galerie, bella e sicura, il suo team ha studiato per due anni i disegni originali del designer tedesco, molti dei quali reperibili al Moma di New York e alla Biblioteca del Congresso.

Dunque Neue (Nuova) contrapposta alla Alte (Vecchia). Già, perché solo Berlino poteva essere, per la sua incredibile storia, l’unica capitale al mondo ad avere due gallerie nazionali. L’ultima nata a un passo da Potsdamer Platz, in un periodo di assoluto ottimismo per il progresso, il 5 aprile 1968, quando si osò issare con gru idrauliche un tetto di ferro di 1200 tonnellate, all’avanguardia, e adagiarlo su pareti di vetro, mentre all’interno splendevano granito, marmo e quercia. Non certo una costruzione democratica, tanto meno partecipativa, ma aveva avuto l’onestà di non esserlo fin dal principio: questo tempio che doveva invitare alla riflessione è diventato il terrore di tutti i curatori. La sala delle vetrate altro non era che il modo con cui Mies van der Rohe (cognome della madre aggiunto successivamente) celebrava sé stesso e non permetteva molto altro, tanto meno un’esposizione di quadri (su pareti inesistenti).

Ecco perché le sculture di Calder possono incontrare l’anima di questa icona del modernismo, con abbondanti citazioni classiche, in primis proprio la vetrata della hall che la rende tempio. Mies immaginava infatti le sculture come parte integrante dei suoi progetti, che cambiano pelle attraverso la luce che filtra dal vetro. Lo dicono bene le “mobiles” dell’artista, in mostra per la prima volta da decenni: a orari ben precisi vengono mosse così da proiettare, di volta in volta, nuove ombre sulla parete bianca, producendo figure casuali. E dire che lo scultore aveva fatto l’ultima esposizione a Berlino negli anni Cinquanta, ma nonostante l’assenza di mezzo secolo, i suoi “giocattoli” riempiono lo spazio in modo sorprendentemente naturale.

«Abbiamo svolto un lavoro chirurgico. Ci auguriamo di aver dimesso il paziente immutato nell'aspetto, ma in condizioni decisamente migliori», ha detto David Chipperfield, commentando i lavori di restauro. Sebbene l'edificio sia stato smantellato fino alle fondamenta, è rimasto come Mies van der Rohe lo aveva concepito.

«E’ una costruzione che rappresenta il vero Mies van der Rohe», ha precisato il direttore Joachim Jäger: «E’ privo di funzione, può adattarsi a qualsiasi scopo. Non a caso era stato progettato per la sede della Bacardi a Cuba, prima dell’arrivo di Fidel. Quando è stato costruito qui, nella seconda metà degli anni ‘60, intorno non c’era nulla, solo la Philharmonie di Hans Sharoun». In attesa che l’Unesco consideri la Neue Nationalgalerie, la Philharmonie  e la Staatbibliotheck (sempre di Sharoun), patrimonio universale, si può godere dell’attesa riapertura con tre mostre: la prima dedicata, come detto, a Calder; la seconda col titolo “L’arte della società” (“Die Kunst der Gesellschaft”), vede 250 lavori modernisti del periodo 1900-1945 (piccola parte delle 1800 opere della collezione permanente) allestiti per grandi aree tematiche; un’esposizione dell’artista visuale italo-tedesca Rosa Barba e infine il Giardino delle sculture a cielo aperto, ispirato al Moma di New York.

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