Tutto è iniziato nei villaggi indiani: foglietti volanti scritti a mano dove si raccoglieva quello che non andava bene, dai disservizi legati all’erogazione dell’acqua ai nomi dei violentatori di donne che circolano liberamente. A distanza di vent’anni è un canale Youtube visto in tutto il mondo che conta su 500 giornaliste autodidatte inviate ovunque a raccogliere news e venti croniste in redazione. Tutte donne. Sì, perché Ondate di notizie, questo il nome della testata, è stato pensato dalle donne per le donne. Che sono andate avanti per la loro strada nel mondo dell’informazione nonostante il tentativo di ignorarle, prima, e di minacciarle, poi, innanzitutto in casa, dai familiari, e ovviamente anche fuori, addirittura armi in pugno.

La direttrice ha 37 anni e ha imparato a scrivere relativamente tardi, a dodici anni: facendo parte della casta più bassa non aveva diritto ad andare a scuola. Ma lei comunque ce l’ha fatta, e insieme ad altre temerarie è arrivata a conquistare l’inimmaginabile: oggi in India ci sono giornaliste nei luoghi dove fino a pochi anni fa era perfino impensabile. La caporedattrice ha un anno di meno, è sposata e ha due figlie: l’ha aiutata la nonna che la chiamava dalla finestra quando era il momento dell’allattamento, e lei correva. Le vicine di casa la prendevano in giro, ma alla fine ha vinto lei.

Si sono fatte da sole le giornaliste della prima testa femminile e femminista dell’India. Sono molto diverse l’una dall’altra, alcune arrivano dalla campagna, altre fanno parte delle tribù, c’è chi è laureata e chi è istruita, sì, ma non troppo. Tutte però sottolineano che le loro cronache passano attraverso la lente femminista per amplificare la voce delle donne oppresse. Così, dicono, si fortifica la democrazia.

Hanno cominciato con la segnalazione dei disservizi e a lungo sono state ignorate, ma poi le autorità si sono viste costrette a rispondere alle loro inchieste giornalistiche: le denunce hanno fatto sì che fossero asfaltate le strade, aggiustati gli ospedali, ripristinati i bagni pubblici. Era il 2002 quando hanno iniziato e tredici anni dopo era già tempo di dare una nuova fisionomia alla testata giornalistica cresciuta al di là di ogni previsione. Così hanno dato vita a una versione interamente digitale: attraverso una raccolta di fondi sono riuscite ad acquistare diversi smartphone. A quel punto le croniste sono state inviate nei villaggi dove non andava nessuno a vedere, sentire, raccontare, indagare, denunciare. Da allora vanno in giro, fotografano e riprendono sfidando gli sguardi degli uomini che le guardano mentre lavorano.

La gente sta dalla loro parte perché ascoltano, fanno il servizio in nome delle persone e ottengono quello che chiedono per il semplice fatto che non si limitano alla denuncia ma dopo un po’ di tempo tornano per verificare quello che è stato fatto, se è stato fatto.  Gli amministratori pubblici non possono più ignorarle, pare che ora addirittura le temano.

Sulle Ondate di notizie è stato girato un lungometraggio (Scrivere con il fuoco) che quest’anno ha ottenuto una nomination agli Oscar.

La storia è stata raccontata da Carlo Pizzati su La Repubblica ed è di quelle che danno un senso al giornalismo, perfino oggi che, soprattutto nel mondo occidentale, in particolare in Italia, viene messo sotto accusa, talvolta a ragione, spesso no. La cronaca resta un baluardo della democrazia e storie come quelle di Ondate di notizie non solo ce lo ricordano ma dimostrano che si ha bisogno di un giornalismo autorevole. Senza il quale non ci potrà mai essere vera democrazia.

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