Tuffi a ogni minimo contatto, ripetuti rotolamenti in caso di contrasti poco più che leggeri (clamorosa la sceneggiata del brasiliano Neymar nel 2018 quando, con la Nazionale, aveva dato vita a una farsa divenuta protagonista di decine di meme: il giocatore del Psg è recidivo), mani in faccia per simulare botte spesso inesistenti o comunque trascurabili, urla che fanno pensare a entrate killer in realtà nella norma. Che dire poi delle proteste a ogni torto (molto presunto) subito in campo, che si tratti di un fallo fischiato contro o di una rimessa laterale invertita? Con capannelli di giocatori che accerchiano l’arbitro per intimorirlo e magari, all’occasione successiva, spingerlo a non prendere decisioni loro sfavorevoli?

Ricominciato il campionato di calcio, per la grande maggioranza degli sportivi lo sport «più bello del mondo», puntualmente è tornato lo spettacolo degradante e mortificante di decine di suoi protagonisti. Professionisti, così vengono qualificati, spesso carenti nei fondamentali (stop, cross, tiro, passaggio) ma eccellenti nel provocare gli avversari, nel tentativo di ingannare il direttore di gara e, conseguentemente, nell’infiammare i tifosi, non di rado poco avvezzi a valutare negativamente i comportamenti di chi difende i colori della propria squadra e, viceversa, facili all’insulto nei confronti dei “nemici”.

Diego Armando Maradona (archivio)
Diego Armando Maradona (archivio)
Diego Armando Maradona (archivio)

I tempi d’oro

La Serie A negli anni Ottanta e Novanta era il torneo di riferimento in Europa dopo il lungo dominio inglese, una salita al vertice iniziata con l’apertura delle frontiere agli stranieri (e l’arrivo di fuoriclasse come Maradona, Platini, Zico, Boniek, Falcao, Van Basten solo per citarne alcuni) e proseguita con le numerose vittorie nelle Coppe (cinque volte Milan e Juventus in Champions tra il 1985 e il 1996, otto volte Parma, Inter, Napoli e Juventus nella Uefa tra il 1989 e il 1999, quattro volte Sampdoria, Juventus, Parma e Lazio in Coppa Coppe tra il 1984 e il 1999). Poi è cominciato il declino, inarrestabile: l’ultimo successo che conta è datato 2010, l’Inter in coppa dei Campioni. Intanto la Spagna è salita sul tetto del mondo conquistando 21 trofei tra Champions e Uefa dal 2000 a oggi, oltre a un Mondiale e due Europei con la Nazionale. Ora è il tempo delle inglesi, campioni d’Europa con il Chelsea e soprattutto protagonisti del campionato migliore del continente: la Premier League. Le italiane arrancano, col fiatone, incapaci di conquistare terreno e salire di livello, oberate di debiti – gran parte del bilancio poggia sugli introiti televisivi, contrariamente agli altri principali tornei – e zeppe di calciatori dall’età avanzata, a volte vecchie stelle venute a trascorrere gli ultimi scampoli di carriera alle nostre latitudini grazie a lauti contratti che appesantiscono le tasche delle società e gonfiano quelle dei giocatori. Mentre il livello del gioco è scoraggiante e la velocità nel palleggio e nel fraseggio è obsoleta.

I giocatori del Liverpool festeggiano dopo un gol nel 2018 (archivio)
I giocatori del Liverpool festeggiano dopo un gol nel 2018 (archivio)
I giocatori del Liverpool festeggiano dopo un gol nel 2018 (archivio)

Per intuire la differenza esistente tra Italia e Inghilterra si potrebbe leggere quanto spiegato da Marques Allan, 30enne nazionale brasiliano, ex Napoli oggi all’Everton. «Ho la fortuna di essere in Premier League, il campionato più difficile del mondo, che dà grande visibilità», ha spiegato qualche mese fa dal ritiro col Brasile, «in Serie A c’è più tattica, le piccole aspettano l’avversario e si difendono basse. In Inghilterra i ritmi sono altissimi e le squadre cercano la vittoria per tutti i 90 minuti». Parere pressoché identico a quello del Papu Gomez, allora ancora all’Atalanta, dopo una sfida di Champions contro il Manchester City finita 1 a 1: «Questi», parlava degli inglesi, «vanno al doppio, il calcio italiano è molto più lento. Giocano per vincere, attaccano e pressano a mille. Noi facciamo così in Italia e va benissimo, ma in Europa lo fanno tutte»: Ecco: in Gran Bretagna si gioca a un’altra velocità, con una tecnica diversa, con un impeto oggi non ipotizzabile in Serie A. Soprattutto, con una correttezza tra giocatori (a parte rare eccezioni) e arbitro impensabile.

L'arbitro accerchiato dai giocatori del Cagliari nel 2006 (archivio)
L'arbitro accerchiato dai giocatori del Cagliari nel 2006 (archivio)
L'arbitro accerchiato dai giocatori del Cagliari nel 2006 (archivio)

In Italia sul rettangolo di gioco prevale – questa l’impressione – l’idea che si debba essere più furbi degli altri, e che ingannare l’arbitro non sia poi sbagliato. Così dai comportamenti più inutili e superflui (come piazzare il pallone pochi centimetri all’esterno della riga che delimita il corner: quale senso abbia è difficile da comprendere) a quelli più fastidiosi e antipatici (lanciarsi a terra appena si sente la mano dell’avversario addosso o al minimo contatto con la gamba del difensore, possibilmente in area), i giocatori in Italia si adattano subito al clima e danno il peggio di loro stessi. Per poi cambiare registro quando si trovino a giocare per squadre inglesi.

Rotolamenti

Chi ha dimenticato la pessima figura di Immobile agli ultimi Europei, quando è crollato in area durante la partita Italia-Belgio rotolandosi dal dolore per risorgere pochi secondi dopo, grazie al gol di Barella? «Patetico e imbarazzante», il commento dell’ex attaccante britannico Alan Shearer. Non l’unico esempio simile, sono decine gli episodi di giocatori che stramazzano in attesa di un fischio a favore e che si rialzano come nulla fosse nel caso il gioco prosegua. Non mancano i casi di calciatori che, all’apparenza fratturati, scattano in piedi per affrontare l’avversario che lo accusa di aver simulato; che fingono di avere crampi o infortuni a pochi minuti dalla fine; che perdono tempo nel battere le punizioni o nel rinviare il pallone da fondo campo; che alzano le mani come a dire «non ho fatto nulla» o indicano il pallone dopo aver abbattuto l’avversario.

Un fallo da rigore (archivio)
Un fallo da rigore (archivio)
Un fallo da rigore (archivio)

In tutto questo il livello di gioco scade e i giovani calciatori italiani pensano più alle furberie e alla tattica che a migliorare tecnicamente, con pochissime eccezioni (Atalanta, Milan, Sassuolo, forse la Fiorentina). Chi oggi è capace di saltare l’uomo nell’uno contro uno? Dove sono finiti i Bruno Conti, i Franco Causio, gli Enzo Francescoli? Scarseggia chi sa battere un cross come si deve, i passaggi sono sempre particolarmente lenti e quelli di prima rarissimi, la marcatura a uomo è desueta e la celeberrima difesa tricolore è quasi scomparsa, lo stop è un’arte misteriosa. Già nel 2009 Fabio Capello, tecnico tra i più vincenti a livello internazionale, diceva: il gioco in Italia «è troppo spezzettato, gli arbitri dovrebbero lasciar giocare di più perché altrimenti facilitano i furbetti che si buttano sempre a terra». Concetti ribaditi pochi giorni fa in un’intervista al Corriere dello Sport: «È un fatto di cultura. Da noi ogni contrasto è un fischio, all’estero non buttano la palla fuori neppure con l’uomo a terra. Mi fa ridere quando anche dei miei colleghi in tv per giustificare un fallo dicono “Beh, lo tocca”. Che vuol dire? C’è gente che si tuffa in continuazione, i famosi falli di svenimento…Così non cresciamo di livello».

Una rissa tra giocatori qualche anno fa (archivio)
Una rissa tra giocatori qualche anno fa (archivio)
Una rissa tra giocatori qualche anno fa (archivio)

Innovazioni

Per cambiare le cose servirebbe una mentalità diversa. Difficile. Allora forse si può ipotizzare qualche innovazione regolamentare. Su tutte certamente l’introduzione del tempo effettivo come nel basket. Due tempi da 30-35 minuti l’uno col cronometro che si blocca a ogni interruzione (falli, sostituzioni, sistemazione delle barriere, proteste, infortuni veri o presunti, rimesse laterali e da fondo campo). Senza dare la possibilità di perdere minuti fondamentali a fine gara, forse certe brutte abitudini sparirebbero. E poi impedire ai portieri di tenere il pallone tra le mani troppo a lungo prima del rinvio (sei secondi? Cinque? Sette?) pena, magari, una punizione a due in area. Missione impossibile, forse. Ma proporre idee non costa nulla. Applicarle è un’altra storia.

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