Il calcio è stato la sua vita. Ma al professionismo ha preferito seguire Gesù presente nella Chiesa: Elia Salis, classe 1971, ex promessa del Cagliari calcio ai tempi della risalita dalla Serie C alla A sotto la guida dell’allenatore Claudio Ranieri, a vent’anni, quando era in prestito al Selargius di Elvio Salvori, ha lasciato scarpe bullonate, allenamenti e partite per entrare nella comunità dei Padri Somaschi. Oggi dirige il centro di Elmas e ogni lunedì pomeriggio, se gli impegni glielo consentono, indossa calzoncini corti e scarpette sportive per la tradizionale partita con i ragazzi affidati dal tribunale.

Padre Elia Salis (foto concessa)
Padre Elia Salis (foto concessa)
Padre Elia Salis (foto concessa)

Inutile chiedere a padre Elia quali partite pensa che siano più importanti, quelle disputate con la maglia del Cagliari di trent’anni fa oppure quelle che gioca adesso con adolescenti in cerca della loro strada: «Lo sport è passione, impegno, rigore, occorre impegnarsi, aiutare il compagno di squadra, è una metafora della vita, insegna a rispettare e a farsi rispettare, aiuta a socializzare, produce in ognuno di noi endorfine positive. Così penso che sia importante per i nostri ragazzi così come è stato importante per me quando ero un bambino».

Era una promessa.

«Difficile dirlo. Ho cominciato a dieci anni nella squadra del mio quartiere, Monte Urpinu, vincemmo il campionato pulcini e venni selezionato per la rappresentativa regionale. Giocavo libero o regista davanti alla difesa. Fui preso dal Cagliari, gli allenatori delle giovanili erano Giorgio Soro, Checco Fele, anche Reginato, Martiradonna che seguiva noi difensori, Nenè e Argiolas. Campionato Allievi e poi Beretti, quindi la chiamata di Ranieri».

Era il 1989. Il Cagliari era in Serie C.

«Sì, c’era da ricostruire la squadra, Ranieri portò in ritiro a Roccaporena diversi giovani. La squadra venne formata piano piano, il fulcro erano i giovani arrivati dalla Roma, Cappioli e Provitali, c’erano anche Pulga, De Paola, Cornacchia».

Elia Salis, il primo a sinistra, durante il ritiro precampionato del Cagliari nel 1988
Elia Salis, il primo a sinistra, durante il ritiro precampionato del Cagliari nel 1988
Elia Salis, il primo a sinistra, durante il ritiro precampionato del Cagliari nel 1988

Un ricordo di Ranieri.

«Parlava e si intratteneva con tutti, anche con noi giovani, dava consigli, ci teneva in considerazione anche se non eravamo in odore di prima squadra. Io ero il più lento a tavola a pranzo, mi sollecitava sempre, Elia, dai muoviti, che dobbiamo alzarci».

Un bel gruppo.

«Sì, c’era un torrente vicino al campo, con le trote, Barozzi si mise a imitare l’andatura dei pesci, ci fece ridere tantissimo, davvero simpatico».

Elia Salis, il primo a sinistra in marcatura su Ivo Pulga, anno 1988
Elia Salis, il primo a sinistra in marcatura su Ivo Pulga, anno 1988
Elia Salis, il primo a sinistra in marcatura su Ivo Pulga, anno 1988

Perché non ha sfondato nel calcio?

«Ci vogliono tante componenti. Soprattutto doti fisiche importanti, che forse io non avevo. Occorre anche testa, la mentalità giusta. Io sono sempre stato molto disciplinato, non ho mai fatto tardi la notte, ho sempre condotto una vita d’atleta».

Il suo incontro con la fede?

«Non ho mai smesso di frequentare la Chiesa, neanche quando giocavo nel Cagliari. Qualche anno dopo cominciai a frequentare la comunità dei padri Somaschi di Elmas come volontario, per fare i compiti con i bambini, per giocare a pallone con loro. Fu un incontro fondamentale per la mia scelta di vita. Decisi di smettere con il calcio, ma non ebbi il coraggio di dire ai miei compagni di squadra del Selargius che stavo lasciando il calcio per Dio. Dissi che dovevo studiare, pensavo che non avrebbero capito, forse ho sbagliato».

Elia Salis con papa Giovanni Paolo II
Elia Salis con papa Giovanni Paolo II
Elia Salis con papa Giovanni Paolo II

Una scelta improvvisa?

«No, maturata negli anni. Studiavo Geologia, frequentavo colleghi di facoltà, mi ero anche preso una cotta per una coetanea, quando a un certo punto capii che era più forte l’amore perso Dio. Mi ha sempre affascinato la figura di Gesù, ho sempre avito una sensibilità spirituale coltivata frequentando la chiesa. Ma la decisione è arrivata nel centro dei padri Somaschi di Elmas: mi rendevo conto che aiutare questi ragazzi con tanti problemi mi dava gioia, che il loro sorriso era più importante di qualsiasi altra cosa».

In cosa consiste la vostra missione?

«La nostra missione è vivere con questi ragazzi la quotidianità, gli studi, lo sport, anche la preghiera e la meditazione. Proponiamo un modello semplice di famiglia che loro purtroppo non hanno conosciuto, visto che un giudice ha stabilito di allontanarli momentaneamente dai loro genitori e di affidarli a noi. Un distacco temporaneo per dare loro un cuscinetto di protezione da certe dinamiche, da certe sofferenze. La comunità è una famiglia dove ci si aiuta, ci si sforza per andare d’accordo, ci si impegna per crescere tutti insieme. Ed è questa la vita che ho scelto per me: aiutare chi deve trovare la forza per costruirsi un futuro migliore e uscire da certi problemi».

Non solo la casa famiglia di Elmas.

«Seguiamo anche dei progetti nel quartiere di Sant’Elia, il doposcuola e il sostegno educativo per minori e famiglie. Nella società attuale c’è tanto bisogno».

Dopo tanti anni di lavoro nella penisola è tornato a Elmas.

«Sì, ho studiato Teologia e Scienza dell’educazione tra Torino, Roma, Rapallo, sino a quando non sono stato richiamato a Elmas».

Come sono i cambiati negli anni i ragazzi che seguite?

«Oggi è maggiore il disagio psichico, rispetto alle difficoltà culturali o economiche che portavano in passato i giudici a inviare i ragazzi nelle comunità. Abbiamo anche ragazzi di famiglie benestanti, per i quali il Tribunale ha deciso per la loro salute e la loro crescita di affidarli a noi. Siamo una realtà protettiva non slegata dal resto della società.  I ragazzi frequentano scuole pubbliche e società sportive, svolgono tutte le attività dei loro coetanei».

Un lavoro impegnativo. Una missione.

«Un impegno che ci rende felici. Felici nel Signore, perché penso che per me sia la possibilità di vivere davvero gli insegnamenti presenti nel vangelo».

Il pallone?

«Purtroppo ho troppi impegni per poter giocare spesso con i ragazzi, ma durante il lockdown abbiamo organizzato partitelle tutti i giorni e la sfida del lunedì per me è quasi irrinunciabile».

Claudio Ranieri sulla panchina del Cagliari: portò i rossoblù dalla serie C alla A in tre anni dal 1988\u00A0 (foto archivio Unione Sarda)
Claudio Ranieri sulla panchina del Cagliari: portò i rossoblù dalla serie C alla A in tre anni dal 1988\u00A0 (foto archivio Unione Sarda)
Claudio Ranieri sulla panchina del Cagliari: portò i rossoblù dalla serie C alla A in tre anni dal 1988  (foto archivio Unione Sarda)

Ha più sentito Claudio Ranieri?

«Dopo la sua vittoria con il Leicester nel campionato inglese, il giornalista Bruno Corda in una trasmissione televisiva, in diretta telefonica, gli ha parlato di me e gli ha portato i miei saluti. Ranieri si ricordava di me, mi ha fatto i complimenti per la nuova vita commentando che il fatto di avermi portato in ritiro a Roccaporena mi aveva fatto bene. Incredibile, davvero una bella persona».

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