Un gigante è passato di qua. Che sia stato l’ipnotico Polifemo o l’avventuriero Gulliver, il Pugilatore del Sinis o il Gigante Buono del Carosello, questi oggetti sovradimensionati, sfida alle proporzioni quotidiane, ne sono una prova. Quando si annulla il righello, il fuori misura catalizza. Ha un non so che di divertente e di inquieto, di fiabesco e preoccupante. La ragione si capovolge, e il gioco è fatto. Le panchine giganti dell’architetto designer americano Chris Bangle sono un formidabile incontro di design dell’impossibile con la forza della poesia (nel senso etimologico di produrre, creare).

L’architetto designer\u00A0americano Chistopher Edward Bangle, 65 anni. Foto Bangle
L’architetto designer\u00A0americano Chistopher Edward Bangle, 65 anni. Foto Bangle
L’architetto designer americano Chistopher Edward Bangle, 65 anni. Foto Bangle

IL DESIGNER Chistopher Edward Bangle è un noto disegnatore progettista di automobili, oggi 65enne, che per decenni ha architettato in punta di matita i profili di Opel, Fiat, Bmw, Rolls Royce, Mini. Dopo aver diretto per 17 anni il reparto design del gruppo Bmw a Monaco, ha deciso di trasferirsi nelle Langhe a Clavesana in provincia di Cuneo, di capovolgere la matita e dare due colpi di gomma da cancellare per ripartire da zero. O meglio, ripartire da un paesaggio fatto di colli e colline in sequenza, segnate da meravigliosi vigneti. Nella terra del Barolo, Chris con la moglie Catherine decide di prendere casa e dar vita alla Chris Bangle Associates e anche alle Big Bench: le panchine giganti. A Clavesana, Borgata Gorrea, nasce la prima di una lunga serie: la Nr. 1 Rossa, realizzata nel 2010 su un’altura a circa 500 metri sul livello del mare, davanti a un paesaggio infinito. È alta 2,10 metri e larga tre. «Il cambio di prospettiva dato dalle dimensioni della panchina fa sentire chi vi siede come un bambino, capace di meravigliarsi della bellezza del paesaggio con un nuovo sguardo», si legge nel sito del Bbcp, il Big bench community project. Ma Bangle spiega meglio: «È sempre entusiasmante vedere un’idea nuova mettere le ali e volare in alto per scoprire nuove persone, nuovi approcci alla vita e nuovi modi di vedere cose già familiari». In una parola si dice poesia, appunto. «Così è accaduto per la Panchina Gigante», aggiunge. «Tutto è iniziato come un progetto tra amici e vicini di casa, e adesso sta conquistando il cuore e la passione di molte persone, che difficilmente avrebbero immaginato di guardare un giorno le montagne e i vigenti italiani da un pezzo di arredamento da esterno fuori scala». Ad oggi si contano 191 Panchine realizzate in Piemonte (la maggior parte), Lombardia, Veneto, Liguria, Trentino, Valle d’Aosta, Friuli, Toscana, Emilia Romagna, Marche, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia. Ma poi in Scozia e Polonia. Nel 2017 nasce anche la prima Panchina Gigante inclusiva, oltre le barriere architettoniche.  Insomma un’idea diventata da subito ecumenica e virale (ma fisica) coordinata e tutelata dalla Bbcp, associazione no profit.  

MA SEDENDO E MIRANDO Cosa lega la Big Bench ai paesaggi di Recanati? Per ora ancora nulla, ma certamente molto al suo poeta. Per Giacomo Leopardi è bastata una siepe per scatenare l’Infinito. Quel muro fatto di bosso, rosmarino e gigli selvatici è stato l’innesco che legittima la poesia, la creazione e l’immaginazione. Un guardare per assenza, senza vedere. Ed è proprio da quel «cespuglio più metafisico del mondo», come lo ha definito il paesaggista Paolo Pejrone, che è possibile vedere senza guardare, contemplare l’infinito. Ovvero fissare gli occhi, soprattutto quelli della mente e del cuore, verso lo spazio. Preludio a tutto questo due gerundi introdotti nella poesia di Leopardi da un’avversativa: "Ma sedendo e mirando". Quella piccola congiunzione ci avverte: tutto perfetto e geograficamente rassicurante, il paesaggio, la siepe, la familiarità del luogo. Tutto ha posto. Ma solo sedendo e mirando avviene il miracolo. Solo da quel momento inizia la creazione mentale e visiva, dove tutto non ha posto. Serve una panca, e non è banale. Anzi una panchina gigante che ci faccia ritornare bambini. Il cespuglio divisore e metafisico sparisce nella sovrumana panchina, resta la visione ma da un’altra prospettiva: quella creativa di un bimbo. Che immagina e contempla l’infinito, perché solo negli occhi di un fanciullo, spazio e tempo, appunto, non hanno posto. Eccola la magia della Big Bench, che per espressa volontà del suo creatore e della Community, deve essere costruita in un punto con vista panoramica («isolata ed immersa nella natura») ed essere liberamente e gratuitamente accessibile a tutti.

Ago, Filo e Nodo di Oldenburg in Piazzale Cadorna a Milano. Foto di Vito Ripa
Ago, Filo e Nodo di Oldenburg in Piazzale Cadorna a Milano. Foto di Vito Ripa
Ago, Filo e Nodo di Oldenburg in Piazzale Cadorna a Milano. Foto di Vito Ripa

FALEGNAME E SARTO Il gigante falegname di quelle panchine, in qualche modo, ha molto in comune con quel sarto distratto che 22 anni fa ha perso ago e filo in piazzale Cadorna a Milano. Claes Oldenburg, scultore statunitense di origine svedese, tra il 1997 e il 2000 realizza una mega doppia installazione Ago, filo e nodo che l’architetto Gae Aulenti volle in piazzale Cadorna. Oldenburg, che realizza l’opera assieme alla moglie Coosje Van Bruggen, è uno dei maestri indiscussi della Pop Art, conosciuto soprattutto per le sue sculture fuori misura. Certo, tra il falegname e il sarto, in questo caso, cambiano le prospettive e le filosofie di base. Da una parte (Big Bench) la staticità del paesaggio, dall’altra il dinamismo metropolitano di una città laboriosa mai ferma e mai stanca. E che non ha tempo per sedersi. Lo stesso Oldenburg parlò di «monumento celebrativo» con un chiaro richiamo alla città della moda e, si potrebbe aggiungere, ai tre colori della linea rossa, gialla e verde della metropolitana di quegli anni. Ma si sa le opere degli artisti hanno sempre gambe e anime irrequiete tanto da sfuggire al loro stesso ideatore. E se la grande installazione di Oldenburg compresa all’interno in una fontana è qualcosa di mirabile dall’esterno che cambia il paesaggio, la grande panchina è invece l’oggetto che ci mette al centro del mondo da contemplare. Entrambe però hanno un filo che le unisce, quel farci sentire fanciulli, anche nella città degli adulti dove non c’è tempo per fantasticare e giocare. Il filo (con quei colori saturi proprio come la Big Bench) ha appena iniziato un ordito che possiamo solo immaginare, tra ciò che trapassa nel sottosuolo e quanto emerge. Il grande ago sta per rientrare in quell’immaginario suburbano che la fontana "il guardo esclude" proprio come la siepe recanatese. Un ultimo orizzonte fatto non di "sovrumani silenzi, e profondissima quiete", ma della nostra rumorosa contemporaneità. Dove tutto non ha più posto.

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