Qualche giorno fa nei suoi profili social ha pubblicato un grafico con i dati (volutamente falsi) sul mercato della musica dal vivo in Sardegna. Una torta con la maggior parte delle “fette” occupate da cover e tribute band (80 per cento). Gli altri generi musicali sono stati inseriti nella sezione denominata “tzia rua” (18 per cento) e lo spazio più angusto (2 per cento) è stato riservato altri “artisti originali sardi”. Quella di Quilo Sa Razza, pioniere e portabandiera del rap e della cultura hip hop nell’Isola era chiaramente una provocazione. L’artista iglesiente da anni è impegnato per difendere e tutelare la musica targata quattro. Chiede l’istituzione di una “quota sarda”, ovvero che gli enti pubblici nei finanziamenti per gli spettacoli tengano conto delle proposte originali presentate degli artisti isolani. Con quel grafico ha richiamato l’attenzione sulla scena isolana. «Niente di geniale, semplice sana ironia e sarcasmo sulla base di quello che oggi di fatto è lo scenario e la proposta musicale nella maggior parte delle piazze e dei locali – esordisce il rapper - una piccola provocazione che ci porta a riflettere, per chi vuole farlo, su un equilibrio che è saltato. Ovvio quindi che sia una esagerazione. Un’azione meme realizzata da un gruppo di artisti sardi che sta crescendo e che costituirà presto una “Mesa Sarda de is Artistas” di cui sono un portavoce».

Negli anni come è cambiato l'atteggiamento degli organizzatori e dei promoter nei confronti dei musicisti sardi?

«I tempi sono cambiati, tutto si muove veloce e nell'ottica del iper consumo così anche per il mercato musicale a cui è strettamente legata la produzione dei live e dei concerti.
Non biasimo chi nel privato cerca di lavorare e quindi portare attraenti proposte ma sono anche convinto che si possa dare più spazio alle realtà pulsanti della scena isolana».

Cosa sta accadendo?

«Spesso gli stessi artisti sardi alzano le spallucce e abbassano la testa, un chiaro segnale di rassegnazione. Poi tutti noi, in ordine sparso, cerchiamo qualche anfratto dove poterci esprimere e lavorare. Ed è cosi che poi si creano dei club esclusivi dove alla fine a suonare sono sempre gli stessi. Questo ovviamente non vuol dire che non se lo meritano, ma dobbiamo pensare ad un modo nuovo di organizzare eventi più sostenibili e diffusi che mettano in primo piano la comunità artistica isolana».

Ci sono comunque diverse manifestazioni che danno spazio ai progetti originali.

«Non tutti coloro che organizzano sono parte di questo gioco. Ci sono delle realtà, poche, che resistono e premiano le band originali, i progetti nati in Sardegna. Gli artisti sardi vecchi e nuovi sono spesso relegati a fare qualche apparizione malpagata trasformandosi in cartonati esotici per dare all'evento il bollino "wow, anche qui c'è un poco di musica originale isolana"».


Come mai si preferiscono le tribute band alle produzioni originali?

«Premetto che io non ho nulla contro le tribute e cover band che sanno fare il loro spettacolo in modo professionale. Per essere onesti fino in fondo, bisogna dire che non tutti gli autori e compositori originali propongono qualità, soprattutto se tendono a emulare e seguire tendenze musicali senza un minimo di stile, ricerca e studio. Le tribute e le cover band sono sempre esistite e in Sardegna ci sono delle realtà storiche molto valide. Penso che scrivere un disco con testi propri, scrivere la musica, andare in studio, promuovere, produrre video interessanti ormai non paga più, perché oggi la proposta musicale si è appiattita sullo spettacolo d'intrattenimento generalista. Presentare un disco o un singolo originale è un lavoro molto complesso e se poi non hai le fatidiche “views” allora, per molti, non sei credibile».

Come è cambiato il pubblico?
«Il pubblico è fluido, non è più curioso di ascoltare produzioni originali, tende ad essere distaccato. È più semplice vendere una band che suona brani conosciuti, che promuovere un lavoro originale. Le due proposte dovrebbero convivere, come un tempo, ma chi vende e produce spettacolo anche finanziato con soldi pubblici ti liquida con la frase magica: “ma tu ne porti gente? bisogna portare gente”».

Da tempo sostieni la "quota sarda" negli spettacoli? Di cosa si tratta?

«Sono assolutamente d'accordo su una "quota sarda" di fondi pubblici destinata ai grandi eventi, ai festival: questo favorirebbe lo scambio culturale. Perché dobbiamo assistere sempre a concerti dove le grandi produzioni d'oltre mare prendono tutto il cachet a disposizione? Fino a prova contraria sono soldi dei cittadini. I grandi palchi devono tornare ad essere calcati dalle realtà sarde per dare la possibilità di crescere, di non abbandonare la musica che è un patrimonio culturale grandissimo».

Quali sono le difficoltà che incontrano i giovani artisti per farsi conoscere?

«Pochi spazi, poche opportunità. Spesso questi ragazzi e ragazze sono costretti a emigrare per provare a emergere, oppure dirigono i loro sforzi verso ogni sorta di talent show. Sono molti i bravi musicisti che iniziano a fare il loro percorso come turnisti e poi non riescono più a far parte di band originali. I giovani sono tutto quel che abbiamo».


Qual è la sua proposta?

«Negli ultimi anni mi sono molto esposto in favore degli artisti sardi, non sono mai restato zitto, ma questo non fa di me un eroe. Io alla musica made in Sardegna ci credo davvero e credo anche che ci siano molte proposte che si possono mettere sul tavolo. Incentivare la musica prodotta qui nell'isola che sia in lingua sarda o anche fosse in cinese dovrebbe essere una delle azioni delle politiche culturali che la Regione dovrebbe portare avanti».

In che modo?
«Pensare a una legge sulla musica, per esempio, ispirandosi al modello francese. Sarebbe un passo importante. Non significa trincerarsi dentro un’Isola tra i muretti a secco, ma avere pari dignità, non avere paura nel proteggere gli artisti validi che dimostrano di esser capaci di produrre nella filiera sarda. Tutelare le giovani realtà è imprescindibile se vogliamo che questa terra esprima un panorama musicale interessante, moderno, innovativo. Si dovrebbero inoltre sensibilizzare i comitati, i Comuni e le Pro Loco affinché nei nostri paesi si possano far esibire e lavorare anche i giovani artisti del territorio che spesso non trovano spazi per crescere. Si potrebbero incentivare anche i locali privati che intendono dare spazio ad artisti sardi con degli sconti o far scaricare interamente gli investimenti sulla musica dal vivo».

A quando la “Mesa Sarda de is artistas”?

«Tutti possiamo fare la nostra parte e dobbiamo supportare la buona musica e l'arte “residente”, perché non si tratta solo di musica ma di tutto il patrimonio artistico sardo. Sarebbe bello un tavolo al quale tutti noi ci possiamo sedere e metter mano ad una serie di proposte fattibili. Queste parole le ho dette anche davanti alla presidente Alessandra Todde in un convegno prima della sua elezione».

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