Tratta di esseri umani con lo sfruttamento della prostituzione, accattonaggio, estorsioni ai concittadini, il narcotraffico e la conquista di piazze destinate allo spaccio di sostanze stupefacenti, la falsificazione di documenti e denaro, le truffe e frodi informatiche, i reati contro la persona e il patrimonio. Il campo oscuro nel quale opera la criminalità straniera in Sardegna, in particolare quella nigeriana, è ampio. Nelle due puntate precedenti abbiamo illustrato la genesi del fenomeno e spiegato la presenza, all’interno dei gruppi, di diversi livelli (chi comanda, chi fiancheggia e chi fa il semplice pusher) e l’esistenza dei così detti secret cults, caratterizzati dall’organizzazione gerarchica, da una struttura paramilitare, dai riti di affiliazione, da codici «mafiosi». Una ramificazione scoperchiata in più occasioni da operazioni investigative portate avanti dalla magistratura di mezza Italia, Sardegna compresa. Eccole.

Le operazioni

A Torino e Bologna due operazioni sono sfociate nel 2020 in altrettante sentenze di condanna. Chiamate “Maphite – Bibbia verde” e “Burning Flame”, hanno disvelato l’esistenza della “Green Bible”, considerata una sorta di “Costituzione dei Maphite”, organizzazione nigeriana in conflitto con la rivale “Eiye”, dove si descrive la struttura gerarchica interna dei così detti “cult”, suddivisi in “Famiglie”. Il singolo cult si fa carico del sostentamento degli affiliati detenuti, prevede la morte per chi tradisce l’obbligo di lealtà e omertà, reputa la violenza lo strumento principale per l’affermazione della propria forza e soprattutto stringe e scioglie accordi con le mafie locali ritenendo (come emerso dalle intercettazioni) che si possa agire autonomamente senza la copertura della criminalità locale: «Non abbiamo bisogno di loro per operare in Italia, possiamo farlo da soli».

Droga e denaro\u00A0sequestrati alle bande nigeriane (archivio)
Droga e denaro\u00A0sequestrati alle bande nigeriane (archivio)
Droga e denaro sequestrati alle bande nigeriane (archivio)

La presenza dei Maphite, in base a quanto illustrato dalla “Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia”, in Italia è in crescita, pur restando ben presenti e operativi altri gruppi che condividono l’interesse per il traffico e lo spaccio di stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani in prevalenza finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. Attività accertate anche grazie all’operazione “Family Light House of Sicily” portata a termine tra il luglio e l’agosto 2020 dalla Polizia di Catania con l’arresto di 23 cittadini africani (20 nigeriani, un togolese, un ghanese e un gambiano) appartenenti proprio ai Maphite e di tre italiani che si occupavano di trafficare in eroina, cocaina, hashish e marijuana, dello sfruttamento della prostituzione e della falsificazione di documenti. Sono state scoperte riunioni assidue e frequenti del cult a Catania, Messina, Palermo e Caltanissetta e il gruppo siciliano aveva collegamenti con i sodalizi operativi a Torino e Bologna.

Nella stessa Sicilia, a Palermo, l’operazione “Sister White” ha portato al fermo di quattro stranieri appartenenti al cult degli Eyie e di due italiani membri di un gruppo che operava nel centro storico della città e smerciava cocaina ed eroina provenienti dalla provincia di Napoli. La droga arrivava in Sicilia tramite corrieri “ovulatori” che viaggiavano in autobus ed in treno.

Le bande del nord

A nord nello stesso 2020, ma a ottobre, la Polizia ha eseguito 43 arresti nelle province di Torino, Alessandria, Asti, Brescia, Caserta, Monza-Brianza, Parma, Pavia, Savona e Venezia: è l’operazione “Valhalla Marine”, che ha visto coinvolti i nigeriani appartenenti al gruppo “Vikings”, un gruppo delinquenziale attivo nel traffico di marijuana, cocaina ed eroina e nello sfruttamento di giovani connazionali. Per soverchiare i rivali e imporsi come banda dominante non mancavano aggressioni e tentati omicidi nei confronti dei rivali, ma anche le regole interne erano ferree e andava incontro alle stesse conseguenze chi non osservava le regole interne.

Marijuana coltivata dalla criminalità etnica (archivio)
Marijuana coltivata dalla criminalità etnica (archivio)
Marijuana coltivata dalla criminalità etnica (archivio)

Così anche a Bologna (operazione “Signal”), con 31 arresti di membri dei Vikings protagonisti di violenti scontri don gli Eiye; a Mestre, con l’arresto a luglio di quattro italiani e un nigeriano che spacciavano cocaina a Venezia e Treviso; a Vicenza nello stesso mese l’operazione “Warning” è sfociata in 27 misure cautelari nei confronti di spacciatori nigeriani e gambiani dediti allo smercio di eroina, cocaina e marijuana; ad agosto l’inchiesta “Jesolo summer 2020-Missed trip” ha disvelato l’esistenza di 14 spacciatori nigeriani attivi nelle province di Torino, Trento, Vicenza e Padova per vendere eroina, cocaina e marijuana nei luoghi della movida estiva; a ottobre la Polizia di Prato, Firenze, Bologna e Pistoia ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare (operazione “Pusher 3 Piazza Pulita”) nei confronti di 23 cittadini nigeriani, ghanesi, gambiani e della Sierra Leone che vendevano eroina e marijuana.

In Sardegna

Nell’Isola spicca l’operazione “Malesya” con cui i Carabinieri, nel luglio 2020, hanno arrestato 37 nigeriani e due italiani: secondo le accuse si trattava di un’organizzazione attiva nello smercio di eroina e cocaina destinate a numerose piazze di spaccio della Sardegna. Il gruppo si riforniva in varie zone d’Italia (Caserta, Napoli, Latina, Torino e Vicenza) o all’estero (Malesia e Olanda) attraverso corrieri “ovulatori”. E poi, ne abbiamo parlato nelle due ricostruzioni precedenti, c’è l’ultima maxi operazione della Guardia di Finanza e della Dda di Cagliari con l’arresto, tra la Sardegna e altre regioni italiane, di quaranta persone. Era l’ottobre 2021: sono finite in cella 33 persone (tra cui sei cittadini africani residenti a Cagliari, Assemini e Decimomannu) e sette ai domiciliari (cinque indagati abitano a Quartu, Cagliari, Vallermosa, Iglesias, Assemini) per un totale di 89 indagati in tutta Italia accusate a vario titolo di riduzione in schiavitù, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio internazionale. Tre i gruppi criminali all’opera nell’Isola, in Piemonte, nel Lazio, in Campania, in Veneto e in Emilia Romagna, il principale dei quali stava a Cagliari. Le donne venivano comprate, prelevate dalla loro casa in Nigeria, trasportate sulle coste libiche e affidate ai trafficanti di esseri umani per sbarcare in Sardegna dopo aver viaggiato a bordo di carrette d’acqua, essere portate in centri di assistenza e poi prese in cura da connazionali che le picchiavano, le terrorizzavano e spedivano sulle strade del capoluogo a prostituirsi o, in qualche caso, a chiedere l’elemosina. Decine di ragazze, alcune poco più che maggiorenni, venivano sottoposte a riti voodoo, minacciate nel caso non coprissero i debiti contratti con l’organizzazione che le portava in Europa (anche 55mila euro), costrette a pagare mensilmente l’affitto dell’appartamento nel quale vivere, la piazzola nel quale esercitare l’attività, la rata dell’investimento sostenuto dal sodalizio per assicurarsi le sue prestazioni.

Nigeriani osservati da telecamere nascoste (archivio)
Nigeriani osservati da telecamere nascoste (archivio)
Nigeriani osservati da telecamere nascoste (archivio)

I trasferimenti di denaro di norma avvengono tramite agenzie di money transfer o grazie a sistemi informali come l’hawala, cioè con corrieri di fiducia, come emerso proprio dall’indagine cagliaritana o nell’inchiesta “Pesha” del luglio 2020 della Polizia di Teramo (erano stati fermati 19 nigeriani appartenenti a un sodalizio riconducibile agli Eiye attivo nel traffico di stupefacenti nella tratta e nello sfruttamento sessuale di connazionali nelle Marche e in Abruzzo). In Sardegna secondo investigatori e Procura la mafia nigeriana dal 2016 ha incassato oltre 4 milioni di euro, inviati in Africa nascosti dentro sacchi di farina, nei fustini di detersivo, dentro manici dei trolley o attraverso il sistema “hawala”. Denaro reinvestito in attività apparentemente lecite (immobiliari) o anche illecite. Per 28 degli 89 indagati nell’inchiesta coordinata dal pm Danilo Tronci a Cagliari pochi giorni fa è arrivata la richiesta di giudizio immediato e il processo in Corte d’assise, fissato per il 16 maggio. Tra loro ci sono i sei cittadini africani residenti a Cagliari, Assemini e Decimomannu e i 7 mandati ai domiciliari tra Quartu, Cagliari, Vallermosa, Iglesias, Assemini. Forse solo una piccola parte di un fenomeno in espansione.

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