Quanto è lecito soffrire per far parte di un corpo di ballo come quello dell’Operà di Parigi, una delle più importanti al mondo? Ma soprattutto: come deve essere declinato il concetto di sofferenza? Ha a che fare solo con il personale sacrificio per raggiungere un obiettivo alto o può essere indotta da un superiore, un maestro, un direttore, qualcuno a cui viene attribuita un’autorità? E qual è il limite dell’autorità? Qual è il confine?

Attorno a questi temi – ma anche a molti altri – ruota una serie bellissima trasmessa da Sky: L’Operà. Racconta con grande realismo la vita dell’École de Danse de l'Opéra national de Paris  e dei suoi danzatori ad ogni livello, quelli rappresentati e resi imperituri da Degas: étoile, premier danseur, sujet, coyphéè, quadrille. Facce e corpi, cuori e anime, storie belle perché sembrano vere. Vicende personali si intrecciano con la vita nelle sale prova e sul palco, il carattere dei personaggi è tratteggiato benissimo da registi - Cécile Ducrocq e Benjamin Adam - che sanno di che cosa parlano ed hanno avuto il merito di scegliere attori che paiono nati per quei ruoli.

Ariane Labed è Zoé, étoile a fine carriera con un percorso familiare torbido che l’ha segnata per sempre e capace di toccare l’inferno e di tornare in paradiso, Raphaël Personnaz è Sébastien, direttore della danza e coreografo a cui viene dato il compito di riformare la compagnia anagraficamente e nel repertorio, Suzy Bemba è Flora, una quadrille di colore, l’unica della compagnia, determinata e dal carattere deciso che lotta prima contro i pregiudizi razziali, poi contro i metodi di Diane, la severa direttrice (che succede a Sébastien) fedele a Tersicore ma dai metodi discutibili che si scontra con una generazione poco disposta a subire, capace di sacrificarsi per raggiungere l’eccellenza ma non svendendo la propria dignità.

Tra loro si muovono personaggi forti e fragili, emergono desideri incompatibili con il ruolo (un’étoile può restare incinta?), legami, amori possibili e impossibili, fedeltà e tradimenti, tormenti ed estasi. La regia è dinamica, bellissimi i momenti in cui l’audio si concentra sul respiro dei ballerini nell’atto dello sforzo durante le prove tra un sauté, un plié, tra un arabesque e un degagé.

Le due stagioni disponibili su Sky analizzano periodi storici differenti dell’istituzione, mostrano l’evoluzione dei danzatori e come cambiano le esigenze. Emergono l’organizzazione, il ruolo la politica, quelli dei manager e dei mecenati che contribuiscono, assieme alla parte pubblica, a garantire la permanenza dell’Operà ai più alti livelli. Ma anche il lavoro dei tecnici, del direttore delle luci, del coordinatore del palco.

E’ finzione ma riferisce rigorosamente la realtà. E’ una storia capace di tenere gli spettatori – anche chi della danza non sa nulla - attaccati allo schermo, che viene voglia di guardare tutta d’un fiato, se ci fosse il tempo.

Nulla è sopra le righe in questa serie che non cade mai nella tentazione di esagerare. Misura e rigore, applicazione in punta di piedi. Quando il sipario si abbassa sull’ultima delle 16 puntate non resta che applaudire e fare un inchino. E sperare che arrivi la terza stagione, al momento incerta.​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

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