La messa in lingua sarda, un traguardo ancora lontano
La Congregazione vaticana per il culto chiede nuove traduzioni delle Sacre scritture nelle varianti del logudorese e del campidanesePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
La messa in lingua sarda è un traguardo atteso, ma complicato, come dimostra il recente freno arrivato dalla Santa Sede. La Congregazione vaticana per il culto chiede ai vescovi sardi traduzioni sicure delle Sacre scritture secondo le due varianti principali, ovvero il logudorese e il campidanese. Una doccia fredda rimbalzata a marzo. Allontana il traguardo e scoraggia perfino i sostenitori più attivi e gli esperti impegnati da anni nella traduzione scrupolosa dei testi, atto preliminare per avviare il complesso procedimento previsto per il riconoscimento liturgico di ogni lingua minoritaria, sardo compreso.
«“Questo è il mio corpo”, diciamo in italiano. “Hoc est corpus meu” si dice in latino, “Custu est su corpus meu” si direbbe in sardo. Vi pare che sia un abbassamento di tono? Noi abbiamo diritto di parlare in sardo con Dio, nell’elevazione Dio parla in sardo con noi». Sono le parole di Bachisio Bandinu, antropologo e autore del libro “Per una Chiesa sarda”, soprattutto presidente della Fondazione Sardinia, investita dai vescovi sardi di predisporre la traduzione in limba dei testi sacri. Questione delicata, riemersa in un convegno a Bitti dedicato alla figura di padre Raimondo Turtas, uomo di Chiesa e di cultura, gesuita, storico, docente dell’università di Sassari, promotore della missa in limba tanto convinto da averla celebrata per la prima volta il 25 marzo del 2007 nel santuario della Madonna dell’Annunziata con il via libera dell’allora vescovo di Nuoro, Pietro Meloni.
Il percorso per il riconoscimento liturgico della lingua sarda è lungo, complesso, insidioso. Nel 2000 gli atti del secondo Concilio plenario sardo parlano tanto della cultura religiosa sarda, delle pratiche di fede lungo i millenni come processioni, novene, canti, gosos e poco – come rilevava al tempo Turtas - della lingua che pure li esprimeva. Strada facendo tra i vescovi sardi maturano nuove sensibilità. Nel 2017 la Conferenza episcopale sarda prende in mano la questione e mette in piedi una commissione di esperti a cui viene delegato l’allora vescovo di Oristano, monsignor Ignazio Sanna. Nel gennaio 2018 l’allora arcivescovo di Cagliari, ora cardinale Arrigo Miglio, coinvolge la Fondazione Sardinia che sarà impegnata nella traduzione dei testi sacri affidandosi alla consulenza fondamentale del biblista don Antonio Pinna. A disposizione c’è la bibbia di cui hanno curato la traduzione monsignor Ottorino Alberti, già arcivescovo di Cagliari, e il linguista Massimo Pittau.
Nel 2019 a monsignor Sanna subentra l’allora vescovo di Tempio, monsignor Sebastiano Sanguinetti, che a Bitti spiega: «Nel marzo 2023 inviamo alla Cei un testo finale. Nel maggio 2023 arriva la risposta: non una bocciatura ma un invito a riformulare il tutto tenendo conto di quanto stabilito dalle norme generali della materia».
Il percorso da seguire prevede più passaggi: tutti gli atti riguardanti la liturgia devono essere giudicati idonei dalla Santa Sede che si pronuncia con la cosiddetta confirmatio sulla base del decreto adottato dalla Conferenza episcopale italiana la quale, a sua volta, interviene dopo l’iniziativa della Conferenza episcopale locale. Fondamentale per avviare il percorso è la traduzione di tutti i 72 testi della Sacra scrittura, libri chiave della liturgia.
«C’è grande apprezzamento e gratitudine verso la Fondazione Sardinia e il gruppo di lavoro per l’attività svolta e la predisposizione dei formulari. Sicuramente non saranno perduti, ma utili alla stesura del progetto futuro», sottolinea Sanguinetti nel convegno di Bitti. E aggiunge: «Naturalmente la risposta avuta da Roma ci obbliga a una pausa di riflessione e a una serie di incontri chiarificatori con la Santa Sede e con la commissione della Cei. Noi vescovi capiamo la delusione per questa frenata, ma prelude a un lavoro più rispondente alle norme che non possiamo eludere». Con prudenza rassicura: «Siamo più che mai decisi a investire tempo ed energie in un progetto in cui crediamo e a cui desideriamo dedicare intelligenza e cuore, non da soli ma col gruppo di persone e istituzioni che garantiscono al progetto solidità scientifica, teologica e liturgica».
Nel frattempo, bisogna ripartire con la traduzione nelle varianti campidanese e logudorese di tutti i libri della Sacra scrittura e l’individuazione dei formulari da sottoporre alla doppia approvazione: quella dei vescovi italiani che si devono pronunciare a maggioranza assoluta e la successiva della Santa Sede.
«Chiediamo una sperimentazione», propone Bandinu rilanciando gli auspici di Turtas, morto nel 2018, lasciando in eredità una ricchezza di studi legati alla storia della Chiesa in Sardegna, raccolti in un’opera monumentale, e anche alla certezza che il sardo possa arrivare a Dio come qualunque altra lingua sorella, dall’italiano al latino.