Ogni anno in Italia vengono uccise mediamente cento donne. Alcune di loro avevano già denunciato violenze, altre non lo avevano fatto.

Qualcuna, tra chi si era rivolta alle forze dell’ordine, era stata inserita nel percorso del codice rosso, quell’insieme di norme che mira a rendere più efficace la risposta della giustizia alle violenze domestiche e di genere, garantendo una maggiore tutela alle vittime e una più rapida e tempestiva azione penale.

Funziona? Non bene come dovrebbe. Sono i racconti delle vittime a restituire i limiti di un sistema che ha un obiettivo nobile ma si scontra spesso con oggettive carenze: dal poco personale di chi deve gestire le diverse fasi del percorso delle vittime, alla preparazione non sempre adeguata di chi riceve le denunce. Uno dei limiti conclamati riguarda i braccialetti elettronici. In Italia, certifica un’inchiesta del Sole 24 ore, ne risultano attivi 10.553: i dispositivi anti-stalking sono 4.662, quelli utilizzati per reati da codice rosso sono 5.965, Alcuni di questi sono stati indossati da uomini che hanno ucciso le loro vittime designate. E’ successo perché il dispositivo non ha funzionato o perché quando ha suonato l’allarme non c’è stato un intervento tempestivo delle forze dell’ordine. O perché se c’è stato la gestione da parte delle forze dell’ordine non è stata adeguata.

Un esempio arriva direttamente dal racconto di una vittima. “In pratica succede questo: sei una donna vittima di stalking, di quelle a cui tutti dicono che devi denunciare. Lo fai, ti ritrovi a bussare alle porte di un commissariato, davanti a persone a cui affidi lacrime, paure, incubi e la tua vita. Inizia forse così la storia di tutte. Con la denuncia, senza sapere che ne seguiranno altre e ti ritroverai a dover combattere oltre che con lo stalker contro un sistema che ti rende vittima due volte. Perché quando. riesci a ottenere da un giudice la misura cautelare che dovrebbe garantire la tua sicurezza - nello specifico il divieto di avvicinamento imposto all’indagatrice nel frattempo diventato imputato al quale mettono anche il braccialetto elettronico che dovrebbe far suonare il tuo dispositivo se si avvicina a meno di 500 metri - scopri che la tanto agognata tutela non esiste. Non esiste una tutela valida per una donna vittima di violenza, per un codice rosso, per una che ha denunciato non una ma quattro volte e atteso due mesi per ottenere una misura cautelare, e poi un altro ancora per l’applicazione. Nella realtà capita di trovarti lo stalker a 5 metri e che solo allora il dispositivo di tracciamento suoni, per 15 minuti senza che nessuna forza dell’ordine chiami per sapere se ci sono problemi. A distanza di sei giorni il tecnico Fastweb chiamato per risolvere il problema non si sa dove sia, dicono che i casi sono tanti e altrettanti i malfunzionamenti. È come essere alle poste, hai il numerino e attendi il tuo turno, sperando che lui non faccia più in fretta della burocrazia. È umiliante, scandaloso, pericoloso. Al decimo giorno sembra che il malfunzionamento sia stato risolto, riprendi a respirare, sino a quando il dispositivo suona un’altra volta. Lo fa per 45 minuti, tu, donna che hai denunciato, ti aspetti di vedere una pattuglia comparire in pochi minuti, o per lo meno di ricevere una chiamata dai carabinieri che pensi ti dovrebbero proteggere (così ti assicurano quando denunci). Invece sei tu ritrovarti a chiamare chiedendo un intervento che non arriva mai. Quarantacinque minuti in cui chiedi se lui è nei paraggi, ma nessuno lo sa. Ti senti dire: faccia così, se si avvicina lei si allontani. Così schiacci anche il tasto SOS, ma non succede nulla. E a paradosso si aggiunge paradosso. Ti ritrovi a vivere le distorsioni di un sistema fallato alla base e pure dopo, con un aggeggio sempre in borsetta che si scarica troppo in fretta e che cambia colore. E se chiedi il perché ti senti rispondere “Tranquilla, se non suona è tutto ok”. Lo ripetono anche quando chiedi il perché la casella verde all’improvviso sia diventata rossa. “Se non suona può stare tranquilla”. Il problema è che anche quando suona, in ritardo, lo fa senza che nessuno intervenga e che ti senta dire che alla centrale dove hanno il monitor l’allarme non è arrivato, e tu non sai se possa trovartelo dietro la porta di casa, vicino alla macchina, dietro l’angolo o ovunque. Può succedere anche che il dispositivo sia in loop, così chiami il comandante dei carabinieri. Manda una mail per chiedere l’intervento del tecnico Fastweb: dopo 5 giorni - in cui rimani scoperta - sostituiscono il dispositivo, un’ora dopo lui ti passa a circa 50 metri e non suona. Insomma, si affida la vita delle donne a un dispositivo elettronico che non è in grado di proteggerle, e così viene disattesa anche la disposizione del giudice: in questo caso il braccialetto con obbligo di tracciamento sono stati disposti perché il quadro probatorio - scrive il GIP - è di rilevante gravità e lui ha continuato anche dopo la denuncia con le azioni criminose. Suona un’altra volta, chiedono una nuova verifica al tecnico Fastweb e devi aspettare dieci giorni chiusa in casa prima che ti dicano che il problema è risolto (nessuno mi ha chiesto il dispositivo, quindi non so come e cosa abbiano risolto). Succede anche di trovarti in punti dove il segnale non arriva, quindi in realtà resti scoperto spesso. Come se fossi una vittima a intermittenza. La conferma che siamo ancora inaccettabilmente lontani dal minimo sindacabile. Perché la vita di una donna, la vita in generale, non può essere affidata al gioco delle probabilità o a un apparecchio elettronico che evidentemente non è in grado di fare ciò che dovrebbe. Non si può andare avanti sperando che siano tutti falsi allarmi o magari no, ad attendere l’intervento di un tecnico telefonico che non ti sa neanche dire a quanto è tarato il dispositivo e si divide tra le troppe donne nella stessa situazione paradossale. Vittime due volte, di uno stalker e di un sistema incapace di offrire le tutele richieste e dovute”.

Del resto il braccialetto elettronico non è solo un dispositivo: è – o dovrebbe essere – il braccio delle forze dell’ordine sulla spalla di ogni donna, il simbolo della presenza rassicurante dello Stato, la certificazione della volontà di stare accanto alle vittime per proteggerle. Invece spesso è solo un gadget.

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