Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.

Linda Ferrando aveva otto anni quando correva il 1974 e si presentò timida timida sui campi della Sef Torres di Sassari. «Voglio giocare a tennis». Il maestro Mino Piu capì subito che si trattava di un talento mai visto prima in Sardegna. Così fu, anche se per decollare quella bambina fu costretta a lasciare i campi in terra battuta dell’Acquedotto e i genitori, liguri arrivati in Sardegna per lavoro, e trasferirsi dai nonni a Genova.

Linda Ferrando nel 1990 ad Arzachena (foto concessa)
Linda Ferrando nel 1990 ad Arzachena (foto concessa)
Linda Ferrando nel 1990 ad Arzachena (foto concessa)

Linda Ferrando poi i giri immensi cantati da Antonello Venditti li ha fatti per il mondo e con in mano un set di racchette, ha giocato a Wimbledon, in Australia, a Parigi, a New York, dove vinse una bellissima partita, che in tanti definirono la consacrazione del servizio-voleè, addirittura contro la numero uno al mondo Monica Seles.

Da qualche mese Linda Ferrando ha compiuto 55 anni e ha completato quel giro tornando da dove era partita: «A Sassari, dal mio primo indimenticato maestro». Sì, proprio quel Mino Piu che le ha fatto una proposta impossibile da rifiutare: «Mi ha chiesto di lavorare con lui, non più alla Torres che Mino ha lasciato da anni, ma nel nuovo circolo di Sassari, all’Accademia, quattro campi, uno coperto, tanti giovani. E adesso mi sento come se fossi tornata a casa».

Linda Ferrando e\u00A0Mino Piu (foto concessa da Mino Piu)
Linda Ferrando e\u00A0Mino Piu (foto concessa da Mino Piu)
Linda Ferrando e Mino Piu (foto concessa da Mino Piu)

Linda Ferrando e la Sardegna.

«Io sono ligure, non rinnego le origini della mia famiglia, ma ho sempre avuto un legame speciale con la Sardegna. Arrivata da bambina a Sassari al seguito dei miei genitori, che gestivano un deposito di vestiti pret a porter. Avevo già cominciato a giocare a tennis, ma alla Torres incontrai il maestro Mino Piu che ebbe per la mia crescita un ruolo fondamentale: mi fece innamorare tantissimo di questo sport».

Il tennis la costrinse ad andar via dalla Sardegna.

«A 12 anni capii, insieme ai miei genitori, che per seguire la mia passione e le mie ambizioni, visti anche i primi risultati a livello giovanile, la Sardegna mi stava stretta. Nel senso che avrei potuto svolgere poca attività a livello nazionale e internazionale. Così mi trasferii a Genova, a casa dei nonni».

E divenne tennista professionista.

«Sì, ho avuto una bella carriera. Sono arrivata al numero 36della classifica mondiale (nell’aprile del 1994), ho giocato in tutti i tornei più importanti, poi a 29 anni ho deciso di smettere».

Così presto?

«Sì, e forse è il mio unico rammarico. Partecipavo a tutti i tornei più importanti ma non andavo mai troppo in fondo, il circuito era organizzato diversamente rispetto a oggi. Non avevo capito che avrei potuto crescere ancora, tante tenniste, anche le più forti  italiane, hanno raggiunto i traguardi più importanti della loro carriera verso i 33, 34 anni. Decisi di smettere anche se non avevo mai avuto infortuni gravi. Una scelta sulla quale mi è capitato successivamente di riflettere molto».

E’ rimasta nel mondo del tennis?

«No. Mentre mio fratello Paolo è stato un buon giocatore e poi ha intrapreso la strada dell’insegnamento, io ho preferito dedicarmi ad altro. Il mio sogno nel cassetto, se devo essere sincera, era di metter su famiglia, di avere dei figli. Poi questo non è avvenuto, ma nel frattempo sono diventata imprenditrice, ho aperto alcune agenzie di viaggio in Liguria. Ho avuto belle soddisfazioni, poi...».

Poi?

«E’ tornato l’amore per il tennis. E per la Sardegna. Qualche anno fa ho acquistato una casa a Castelsardo, dove restavo per tutta l’estate, e ho cominciato a dare lezioni private a ragazzi, alcuni anche promettenti, non soltanto sardi. E d’inverno ho cominciato a lavorare nei circoli tra Rapallo e Novi Ligure».

La svolta ad agosto.

«Sono andata a trovare a Sassari Mino Piu, il mio vecchio maestro di tennis che era rimasto in contatto con i miei genitori e che si era fatto sentire quando era venuto a mancare mio padre. Mino gestisce insieme al figlio Carlo un circolo molto carino, quattro campi, a Sassari. Mi ha proposto di lavorare con lui, io mi sono emozionata tantissimo e gli ho detto si: sei stato il mio primo maestro, sarai anche l’ultimo, gli ho risposto».

Una storia bellissima.

«Certi amori…».

Non finiscono.

«Ho sempre pensato alla Sardegna come mia seconda casa, sono molto contenta, ho trovato un bellissimo ambiente all’Accademia Sassari».

Come ha trovato il livello del tennis in Sardegna?

«Ci sono tanti giovani promettenti, tanto entusiasmo, mi ha colpito. Ai miei tempi era così, ritrovare la stessa atmosfera è stato davvero importante per me. E poi, rispetto a quando io ero giovane, i tempi sono cambiati».

In che senso?

«Con i voli low cost è molto più semplice frequentare il circuito giovanile o senior di un certo livello. Il confronto per un tennista è fondamentale, occorre che si giochi con avversari sempre diversi e sempre più forti, restando in Sardegna non è possibile. Ma guai a pensare che da un’isola non possa nascere un campione. Carlos Moya e Rafa Nadal sono nati e cresciuti a Manacor che è sempre rimasta la loro base».

In Sardegna?

«I maestri a mio avviso, dovrebbero collaborare di più tra loro. Il fine ultimo deve essere il bene dei ragazzi, la loro crescita tecnica e agonistica. Guai a pensare soltanto al proprio orticello. In questo senso si deve ancora crescere».

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