Case piccole, anguste. E troppo affollate. Città assediate dal cemento, senza parchi e impianti sportivi. Invivibili. I bambini italiani chiedono spazi che finora gli sono stati negati. Lo denuncia Save The Children, l’associazione umanitaria in prima linea non solo a favore dei più piccoli che vivono contesti di guerra, sopraffazione e miseria ma anche dei ragazzi che in Italia soffrono sulla propria pelle fenomeni di emarginazione troppo spesso sottovalutati. In un rapporto dal titolo “Fare spazio alla crescita”, 52 pagine redatte nell’ambito di “Qui vivo”, una campagna di sensibilizzazione ad hoc, sono raccolti dati e considerazioni che inducono a una riflessione su tutte: l’Italia – dalle città metropolitane ai piccoli comuni – è piena di case vuote, ma mettere gli alloggi nella disponibilità delle famiglie più bisognose e più numerose si rivela operazione tremendamente difficile. Un dato su tutti, nel report pubblicato nei giorni scorsi, fa rabbrividire: tredicimila bambini in Italia sono senza tetto o senza fissa dimora. Paola Deserra, insegnante e segretaria provinciale nuorese del Sunia-Cgil, sindacato degli inquilini, sa qual è la dimensione del fenomeno, non solo in Barbagia. “Per le famiglie numerose trovare un tetto è un problema”, conferma Deserra, “l’emergenza abitativa deve dunque tornare centrale sui tavoli della politica nazionale, regionale e locale”. Non è più tempo di indugi. “Le istituzioni devono trovare soluzioni reali affinché situazioni di questo genere si verifichino sempre meno. Tanto più che la salvaguardia dei minori, di cui parliamo oggi, e dei loro diritti – conclude la sindacalista - deve costituire una priorità”.

Paola Deserra, segretaria del Sunia Cgil (archivio L'Unione Sarda)
Paola Deserra, segretaria del Sunia Cgil (archivio L'Unione Sarda)
Paola Deserra, segretaria del Sunia Cgil (archivio L'Unione Sarda)

E tra i diritti dei più piccoli è fondamentale quello al gioco. Purtroppo però resta complicato ricavare nelle grandi realtà urbane ma perfino nei centri meno popolati delle province spazi per le attività sportive e ricreative. Eppure gli strumenti, anche legislativi, ci sarebbero. Risale a dodici anni fa la decisione di confiscare i beni alla criminalità organizzata e restituirli alla collettività mettendoli a disposizione di Regioni, Province e Comuni con un fine ben preciso: “condurre attività didattiche, culturali, ludiche o di formazione educativa e professionale specificamente destinate a minori e ragazzi, compresa l’educazione alla legalità e alla lotta alla mafia”.

Purtroppo questa operazione è rimasta molto spesso sulla carta. “Il totale dei beni confiscati alla criminalità, in Italia, al 2023, è di quasi 42.500 immobili”, si legge nel report di Save The Children. “Di questi, poco più di 17.000, quindi il 40%, si trovano nelle 14 città metropolitane del nostro Paese. La riutilizzazione di questi beni per scopi educativi o sociali rappresenta un’opportunità importante, per espandere i luoghi di crescita, in contesti spesso svantaggiati, e dove gli spazi sono molto limitati. Purtroppo, meno della metà dei beni immobili che sono stati confiscati in via definitiva nel nostro Paese è stata assegnata alle autorità locali, il 25,5% nelle città metropolitane (poco più di 4300), che li gestiscono direttamente o li affidano alle organizzazioni del terzo settore. I dati però indicano che i beni effettivamente attivi, quindi utilizzati, a oggi, per scopi educativi e sociali, specificamente destinati a minori e ragazzi, sono soltanto 237, ovvero il 5% del totale dei beni assegnati, e appena l’1,4% di tutti i beni confiscati nelle 14 città metropolitane”. A Cagliari su 170 beni confiscati soltanto 19 sono stati assegnati alle autorità locali e appena 5 di questi destinati effettivamente a scopi sociali a favore dei minori. 

La campagna “Qui vivo” lanciata da Save The Children è una sfida da vincere. La Ong ha promosso una petizione e sta raccogliendo migliaia di firme affinché i progetti di riqualificazione urbana tesi a garantire spazi di socialità all’infanzia non restino impigliati nelle reti della burocrazia o, peggio, dell’indifferenza. “Nei quartieri periferici, dove vivono la maggior parte di bambine, bambini e adolescenti”, è la riflessione, “spesso mancano per loro stimoli e opportunità. Questi vuoti possono lasciare spazio a isolamento e marginalità. Allo stesso tempo, proprio dalle periferie oggi nascono silenziosamente esperienze di rigenerazione sociale ed educativa. Fare spazio alla crescita significa fare spazio a queste esperienze, non lasciare da soli, ma sostenere chi vive questi territori”. 

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