La strage di Sinnai e una svolta con tanti dubbi
Dopo l’iniziale reticenza dovuta alla paura di «essere ammazzato», il sopravvissuto all’eccidio cambia rotta e sostiene di poter riconoscere l’omicida, che aveva agito «a volto scoperto» e non , come detto in precedenza, con una calza di nylon sul volto. Poi il superstite Luigi Pinna fa il nome: «Beniamino Zuncheddu», pastore di Burcei.Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Il cambio di rotta di Luigi Pinna, unico sopravvissuto alla strage di Sinnai, indirizza in modo chiaro le indagini sul triplice delitto avvenuto la sera dell’8 gennaio 1991 sulle montagne in territorio di Sinnai a ridosso di Burcei e delle antenne di Serpeddì. Circa un mese dopo aver rivelato al carabiniere che gli faceva le domande sull’ambulanza diretta in ospedale la mattina seguente all’eccidio (erano stati uccisi Gesuino Fadda, proprietario di Cuile is Coccus, suo figlio Giuseppe e il pastore Ignazio Pusceddu) che il killer aveva il volto nascosto da un collant da donna e non lo aveva potuto riconoscere, sostiene davanti alla Polizia che in realtà l’assassino ha agito a volto scoperto e quindi poteva individuarlo.
La svolta
La Criminalpol si muove subito e, attraverso fonti confidenziali (all’epoca non era disponibile la tecnologia attuale), si incammina sulla pista che porta ai contrasti tra gli allevatori che utilizzano ovili esistenti sullo stesso territorio: quello gestito dalle vittime e un secondo, Masone Scusa, sul quale gravitano pastori di Burcei. Le indagini fanno emergere che i Fadda avevano protestato più volte per il comportamento dei vicini, sino a presentare un esposto mettendo nel mirino i loro comportamenti e l’asserita mancanza di controllo sugli sconfinamenti delle loro vacche. Addirittura, spiegavano, la prima muta di cani comprata per azzannare e allontanare il bestiame altrui era stata uccisa; e un secondo gruppo era stato fatto fuori e impiccato appositamente perché i proprietari potessero vederlo.
I pastori di Masone Scusa lamentavano a loro volta le fucilate esplose contro i propri ovini dai Fadda, tanto che non di rado recuperavano i pallini dalla carne macellata delle bestie, una delle quali era stata anche sollevata con la benna di una ruspa e buttata in una scarpata. All’ennesimo screzio Gesuino e Giuseppe Fadda erano corsi dai confinanti con in mano una roncola e un bastone ed era scoppiata una rissa. Un clima cupo nel quale si inseriva una frase rivolta ai Fadda: «Se facessero a voi quel che voi fate alle vacche...». Una sorta di minaccia che nell’inchiesta avrà un ruolo decisivo.
La comparsa di Zuncheddu
A pronunciarla, come rivelato dal pastore Paolo Melis (che aveva lavorato per i Fadda), era stato Beniamino Zuncheddu, un capraro di Burcei che utilizzava l’ovile Masone Scusa. Una verità tuttavia arrivata anch’essa, come la duplice versione del superstite sul volto del killer che prima era coperto e poi invece scoperto, dopo un’altalena di rivelazioni: inizialmente, secondo Melis, l’episodio gli era stato svelato da Giuseppe Fadda durante una festa di paese a Sinnai senza che però il ragazzo gli facesse il nome di chi l’aveva intimidito; in una seconda occasione invece il pastore sostenne di aver assistito personalmente all’episodio, avvenuto in montagna mentre Fadda sparava alle vacche che invadevano il suo territorio di pascolo, ma l’autore non era riconoscibile perché troppo distante (circa 100 metri); in una terza versione infine il secondo racconto restava immutato se non per il finale, perché stavolta era stato proprio Fadda e rivelare a Melis chi era quel giovane che, da lontano, aveva parlato: «Beniamino Zuncheddu».
Un nome sul quale gli investigatori già lavoravano, perché nel frattempo Luigi Pinna, il superstite, lo aveva indicato alla Polizia quale autore della strage dopo aver inizialmente sostenuto che il killer avesse agito a volto coperto: invece lo aveva riconosciuto e, nonostante il buio nella stanza, era riuscito anche a scorgerne la lieve peluria sulla faccia (come se non si fosse fatto la barba di recente), il tipo di calzature indossate (scarpe con la suola in caucciù) e anche la forma del naso, «aquilino». La prima versione, quella della calza di nylon sulla faccia, era falsa: «Avevo paura che mi potessero ammazzare», si era giustificato. Poi la sua coscienza lo aveva spinto a «dire la verità».
Le fotografie
Il riconoscimento del superstite, arrivato attraverso una fotografia di Zuncheddu mostratagli da inquirenti e investigatori in fase di indagine, è una prova schiacciante. Così la sera del 28 febbraio 1991 gli investigatori bussano alla porta della casa del sospettato a Burcei e portano quel ragazzo (allora aveva 27 anni) in Questura «per accertamenti». Accertamenti «lunghi», durati decenni, dirà lui stesso con amara ironia all’Unione Sarda in un’intervista molto successiva.
Nella ricostruzione investigativa emerge cosa ci fosse all’origine della strage: la volontà del pastore di metter fine a contrasti tra allevatori che andavano avanti sin dal 1988. Tutto ruotava attorno alle diatribe tra i Fadda (che a Cuile is Coccus avevano mille tra capre e pecore avendo ricevuto dal Commissario per gli usi civici i terreni circostanti) e chi gravitava sul vicino Masone Scusa, ovile “collettivo” usato dai burceresi. Sconfinamenti del bestiame, liti, minacce. I cani uccisi. Le fucilate contro i bovini. Le botte, le roncolate. E quella frase pronunciata, secondo Melis, da Zuncheddu contro Giuseppe Fadda.
L’alibi
Dopo l’arresto, Zuncheddu sostiene di essere rientrato in paese alle 17,45 per poi andare da un’amica intorno alle 19,30 dove era rimasto per il resto della serata. Poi, alcuni mesi dopo, spuntano anche due testimoni che assicurano di averlo visto in paese nell’orario della strage. Basterà?
3) continua