Ha compiuto 90 anni il mese scorso Antonio Manis, decano dei ceramisti oristanesi e ultimo dei figoli.

Nonostante l'età il maestro è ancora in forma e ogni mattina fa un salto nel laboratorio di famiglia "a dare una mano" dice lui. La realtà è che non riesce a fare a meno del suo lavoro, una passione sconfinata iniziata all'età di 9 anni, che non si è mai spenta. Antonio ha ancora buona memoria e ricorda tanti aneddoti della sua vita, li racconta un po' in italiano, un po' in oristanese, una lingua che si adatta meglio alla sua vita e lle sue eperienze.

"Quando avevo 9 anni - racconta - la mattina andavo a scuola e nel pomeriggio, in via Palmas, nella bottega di un figolaio, Giuseppe Pinna, per imparare il mestiere". Amava la terra, e amava guardare quei maestri che la facevano crescere sul tornio: "era un tornio diverso da quelli che noi utilizziamo oggi - spiega - Si faceva girare spingendo col piede una grande ruota in legno, che al posto dei cuscinetti aveva un pezzo di cotenna di maiale".

Il piccolo Manis guardava attentamente e cercava di carpire tutti i gesti del maestro, che non era di molte parole. Quando il figolaio intuiva che il ragazzino era dotato si alzava dal tornio e faceva finta di dover uscire per qualche minuto lasciando così all'allievo la possibilità di sedersi su quel trespolo sacro. "Ogni volta che il maestro usciva, saltavo sul tornio, anche a costo di prendere una sgridata". Una, due, cento volte, fino a che prese dimestichezza con quella macchina che, ancora oggi, è la sua compagna di vita. A 12 anni Antonio Manis già faceva le sue prime brocchette, foggiando palle di argilla da uno, due chili. I primi passi di un lungo viaggio.

Al tempo i figoli erano molto poveri: il piccolo Manis portava a casa 35 centesimi al giorno.

"Mio babbo faceva il calzolaio e a casa c'era bisogno di soldi". Per 7 anni restò nelle botteghe: dal primo maestro passò al secondo, poi al terzo e altri, fino a Peppino Mele con il quale rimase fino all'età di 16 anni.

Peppino fu poi invitato come torniante nella fabbrica di laterizi di Ernesto Alquati: era il 1946, lasciando Antonio, ormai esperto, a lavorare da solo in bottega. Non era un buon periodo per i figolai, che stavano progressivamente chiudendo. Il ferro smaltato prima, la plastica poi, erano ormai subentrati agli oggetti di terracotta venduti dagli artigiani oristanesi in tutta la Sardegna. La produzione diminuiva, diminuiva la vendita, i forni chiusero e i pochi maestri rimasti si riunirono in cooperativa o si riciclarono in altri lavori. Antonio aveva già 16 anni e 7 anni di pratica alle spalle quando proposero anche a lui di lavorare nel reparto maioliche dell'azienda di Alquati, insieme al suo maestro Peppino. "Nella fabbrica di via Ghilarza si produceva un po' di tutto: mattoni, vasi, mattonelle" ricorda Manis. Il direttore Vincenzo Urbani (originario di Castelli) chiese al giovane Manis di lavorare per lui e Antonio, ad un passo dall'esame per diventare figolaio accettò: "Non diedi mai quell'esame, e non lo avrei dato comunque, perché dopo pochissimo le botteghe chiusero".

Rimase in fabbrica per 5 anni. "Avevo il mio tornio ed ero pagato bene, molto meglio che nelle botteghe".

Nel reparto maioliche si producevano principalmente oggetti di design artistico. Dopo anni di attività nelle botteghe, Antonio Manis non solo sapeva foggiare già molto bene, ma aveva anche un'ottima conoscenza della materia prima che andava a predere nell'odierno quartiere oristanese di San Nicola (in via Gennargentu) e in via Risorgimento. "Una volta individuata la cava dovevo capire a quale profondità raccogliere l'argilla. Superata la parte superficiale e lo strato sabbioso raggiungevo il livello in cui la terra era più grassa, fino ad arrivare alla cosiddetta terra 'e coru". Ogni figolaio seguiva i suoi operai e dirigeva i lavori, ben sapendo che, se la terra non era perfetta, i vasi si sarebbero rotti.

Antonio Manis (foto A. R.)
Antonio Manis (foto A. R.)
Antonio Manis (foto A. R.)

Chiuso il Reparto maiolica, Vincenzo Urbani fondò, tra il 1949 e il '50 la Scuola di avviamento ceramico con sede in piazza Eleonora. Antonio Manis seguì Urbani e venne assunto come insegnante tecnico pratico: "Sono stati anni preziosi per la mia formazione -racconta il maestro- ho arricchito molto la mia esperienza, imparando anche a cuocere e a smaltare". In quella scuola Antonio Manis si occupava di tutto tranne le decorazioni: "Di quelle si occupava Urbani, era bravissimo, soprattutto nei paesaggi".

La Scuola di avviamento ceramico chiuse quando vennero istituite le Medie e nello stesso anno, il 1961, nacque anche l'Istituto d'Arte, fortemente voluto da Antonio Corriga un'autorità del mondo culturale cittadino. "Fu Corriga a convincermi a fare domanda per entrare all'Istituto d'Arte, e così fu: entrai come specializzato torniante". L'Istituto era in via Carlo Meloni, nell'edificio degli eredi Sechi. La scuola oristanese era stata affidata ad uno dei ceramisti più quotati di quel periodo: Arrigo Visani. "Un grande maestro e una persona di squisita umanità" ricorda Antonio Manis. "Da lui ho imparato molto, soprattutto in ambito di ricerca della forma: era davvero bravo".

Antonio Manis lavora al tornio (foto A. R.)
Antonio Manis lavora al tornio (foto A. R.)
Antonio Manis lavora al tornio (foto A. R.)

Visani, di formazione faentina, era specializzato in tecnologia della ceramica e aveva una passione infinita per la sperimentazione. "Era fissato con il gres e con i diversi tipi di terra. Faceva i suoi smalti, mescolava le terre, ricordo che mi mandava in giro per l'Isola a prendere argille particolari per i suoi esperimenti".

Antonio Manis lavorò all'Istituto d'Arte fino al 1982 quando decise di lasciare l'insegnamento per aprire il suo laboratorio. Qualche anno dopo la ditta di Antonio Manis venne trasformata nell'attuale azienda di Ceramiche Manis con i due figli, Arnaldo e Vitaliano.

Oggi le Ceramiche Manis sono il marchio della tradizione ceramica oristanese. Dalle antiche brocche della sposa alle maschere della Sartiglia; dalle brocche anulari alle scivedde tradizionali per il pane. Storia antica e nuovo design in una sintesi di forme che gli oristanesi non hanno mai smesso di amare. "Ho investito tutto quello che ho guadagnato in questo laboratorio, per i miei figli -racconta con orgoglio- penso di essere una persona libera che ha fatto sempre quello che amava fare. Magari non sono un grande ceramista, ma nel mio piccolo è sufficiente".
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