Una delle cose giapponesi che trovano più spazio sui media italiani sono le scuse. Non è chiaro se piaccia più ai giapponesi scusarsi o a noi italiani che i giapponesi lo facciano, possibilmente per cosette irrilevanti come 40 secondi di ritardo di un treno e sempre con espressioni contrite e solenni come se stessero confessando una strage di cuccioli di labrador.

Ci sono un tradizionalismo e un ritualismo nelle scuse giapponesi che ci mandano in sollucchero proporzionalmente a quanto noi invece siamo (o ci percepiamo) cafoni, sciatti, indifferenti al galateo e via rimpiangendo usi e costumi di quando (ma quando?) eravamo un popolo magari più povero ma certamente meno sguaiato.

Chiaro quindi che nelle scorse settimane sia circolata molto, su carta e sul digitale, la storia del deputato Seiji Kihara, collaboratore del primo ministro giapponese Fumio Kishida, che ha messo online le proprie scuse per essersi lasciato sorprendere dalle telecamere con le mani in tasca mentre accompagnava il premier in visita di Stato negli Usa. Addirittura sua madre, ha confessato l’infelice politico, appresa la gaffe gli ha telefonato per rimproverarlo e suggerirgli di cucirsele, le tasche.

Ma è davvero una cosa grave? O meglio: se fosse successo in Occidente qualcuno lo avrebbe notato? Diciamolo subito: dipende.

Quanto al costume, le mani in tasca dalle nostre parti non fanno più notizia né scandalo da un pezzo, visto che già quasi un secolo fa, nel 1928, Coco Chanel si faceva fotografare con le mani nelle saccocce dei pantaloni, quindi doppiamente provocatoria o se vogliamo doppiamente sdoganatoria. Quanto all’arte, era addirittura il 1869 quando Edgard Degas ritrasse il collega Édouard Manet stravaccato su un divano, che si regge pensosamente il mento con una mano e tiene l’altra affondata in tasca mentre ascolta la moglie che suona il piano. Quanto alla politica, invece, la questione è di soluzione meno facile. È vero che il premier canadese Pierre Trudeau – padre Justin, suo successore attualmente in carica - fece delle mani in tasca una sorta di brand e aveva il vezzo di ostentarle anche nelle foto ufficiali. E in alternativa infilava nelle tasche solo i pollici, lasciando le mani libere sui fianchi a mimare una posa da pistolero.

contentid/YTQzMzY4ZTEtOWU5Ni00
contentid/YTQzMzY4ZTEtOWU5Ni00

Quanto alla politica italiana, anche in questo come in altri campi usa due pesi e due misure e si scandalizza o fa finta di nulla a seconda di chi è il titolare delle mani e delle tasche in questione. Nel maggio del 2018 Roberto Fico, allora presidente della Camera, fu bersagliato di critiche e sberleffi per aver assunto questa posa così casual durante una commemorazione palermitana di Giovanni Falcone, e per di più durante l’esecuzione dell’inno nazionale. Eppure quattro anni prima la mano tenuta in tasca da Matteo Renzi mentre chiedeva la fiducia al Senato passò per un segno sbarazzino di novità e freschezza, non come un oltraggio alla solennità di Palazzo Madama.

Ma la tasca inevitabilmente evoca innanzitutto il portafogli, il borsellino, la custodia intima degli spiccioli fino a quando la politica ci tuffa dentro le mani, per alimentare le casse pubbliche o lo stile di vita di qualche potente disinvolto. 

E allora ecco i giuramenti governativi di non mettere le mani nelle tasche degli italiani ed ecco dall’opposizione, a cadenze altrettanto regolati, rimproveri e sfottò all’esecutivo di turno per aver tradito quell’impegno. Ed ecco, infine, Giovanni Berlinguer sul palco del XIX congresso del Pci, a Bologna, che parlando di tasche strappa una risata e un applauso di sollievo a una platea di delegati ancora turbati dall’enorme carica emotiva dell’intervento di Ingrao, il grande vecchio del comunismo italiano che non vuol seguire i compagni nella svolta verso il PDS. Il momento è delicato: bisogna aprire uno spiraglio al dialogo con i detestati cugini socialisti ma bisogna anche tirare su il morale a militanti che dell’austerità e della questione morale hanno fatto elementi identitari, di distinzione e anche di superiorità rispetto agli yuppie craxiani. E quindi Giovanni, fratello di quell’Enrico che sei anni prima era stato sommerso di fischi al congresso del Garofano, fa presente sorridendo che in Senato “il compagno Martelli è stato molto criticato” perché teneva una mano in tasca mentre esponeva la legge sull’immigrazione. “A un certo punto lo ha aggredito da lontano un dirigente democristiano trattandolo da maleducato, da becero eccetera eccetera. E un compagno socialista ha detto: per una volta che un socialista tiene le mani nelle proprie tasche questi lo aggrediscono”. Ma io non voglio… lo ha detto lui, ecco. Lo ha detto il socialista”.

© Riproduzione riservata