La globalizzazione scricchiola sotto i colpi di pandemia e guerre, e ora l’Italia vorrebbe intraprendere un clamoroso salto indietro nel tempo per riconquistare una maggiore indipendenza economica. Non solo energetica, ma anche alimentare.

Perché oggi non è solo il gas russo a scarseggiare nelle case degli italiani, ma anche grano, orzo, mais e olio di semi di girasole. E domani, chissà, potrebbe accadere la stessa cosa a zucchero, pomodori in scatola, frutta fresca e verdure, tanto per fare qualche esempio. Tutti prodotti dei quali il fabbisogno nazionale supera di gran lunga la produzione interna.

Chi l’avrebbe mai detto?

All’interno della più classica rubrica “Col senno di poi…” poco tempo fa il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, davanti alla Camera aveva sottolineato «la necessità di garantire la sovranità alimentare a livello europeo. La crisi sugli approvvigionamenti non sarebbe stata così grave se si fossero fatte scelte lungimiranti».

Scelte di sicuro lungimiranti, ma per certi versi degne di una chiromante solo qualche anno fa. Chi avrebbe infatti mai detto che una pandemia globale avrebbe messo per prima in ginocchio la Cina e poi il mondo intero, innescando una crisi nella circolazione delle merci? E anche se si fosse potuta immaginare una tale catastrofe, a inizio Duemila chi avrebbe mai proposto un anacronistico ritorno alle coltivazioni made in Italy, da decenni troppo costose per competere contro le produzioni estere che possono sfruttare manodopera a bassissimo prezzo?

Il prezzo non è giusto

L’amnesia collettiva che sembra aver contagiato non solo i politici di turno ci fa scordare che le grandi aziende italiane nel tempo hanno ovviamente ceduto al migliore offerente, affidando a mercati stranieri più convenienti ciò che agli inizi del ventesimo secolo si faceva “in casa”. Perciò non bisogna sorprendersi se spaghetti, gnocchetti sardi o tagliatelle tricolori ora siano fatti nella stragrande maggioranza dei casi con farine provenienti da oltre confine. Se le pesche o le ciliegie vendute a prezzi stracciati nei supermercati arrivino spesso dalla Spagna; o se l’olio che mettiamo in tavola sia stato spremuto in Tunisia.

Ammettiamolo, la globalizzazione ci è sembrata la risposta ideale a uno stile di vita sempre più consumistico e omogeneo a qualsiasi latitudine. E ora ci accorgiamo quasi sorpresi come tutte queste certezze possano essere spazzate in poco tempo.

Fanta-futuro

Altro piccolo grande promemoria inquietante: Russia e Ucraina ogni anno hanno esportato circa un quarto dei cereali mondiali, tra mais, orzo e grano. Nel 2022 in entrambi i paesi la semina, il raccolto e la distribuzione, per ovvie ragioni, saranno quasi azzerati sottraendo in un solo colpo una fetta importante di materie prime. Dovremo quindi rassegnarci a razionare i prodotti alimentari a base di cereali proprio come stiamo facendo oggi con il gas? Biscotti, merendine, pasta e pane saranno i nuovi oggetti del desiderio dei prossimi anni?

Al di là di queste previsioni fantascientifiche (si spera), rimane la necessità di attutire il colpo. E non potendolo fare su grande scala e in brevissimo tempo (riattivare la coltivazione nazionale di cereali, frutta e verdura non è certo questione di settimane) si può comunque tentare di fare i primi piccoli passi puntando sull’autoproduzione.

Il fai da te

Tra le varie idee spicca quella “autorevole” lanciata dall’Enea, l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, che ha recentemente proposto un metodo per «Coltivare verdure in casa grazie ad un nuovo sistema semplice, sostenibile, low-cost e senza uso di pesticidi, che prevede illuminazione di precisione, ventilazione mirata e uso minimo d’acqua».

Uno studio per ora a livello sperimentale che potrebbe però presto trasformare non solo balconi e terrazze, ma anche qualsiasi ambiente chiuso, in piccole dispense personali per attenuare gli effetti di un’ipotetica crisi alimentare.

I laboratori della Divisione Biotecnologie e Agroindustria stanno per questo perfezionando «un semplice scaffale mobile di dimensioni adatte ad alloggiare la piante da coltivare, costituito da un sistema di illuminazione sviluppato dall’azienda Beghelli, basato su lampade a led che forniscono alle piante luce nello spettro utile alla fotosintesi e con intensità adeguate a far crescere le piante sane. I primi esperimenti hanno riguardato un ciclo completo di zafferano e si stanno conducendo prove anche per lattuga e pomodoro».

Certo, non risolveremo il più grande cortocircuito economico mondiale della storia recente raccogliendo qualche patata nel soggiorno di casa, ma potremmo iniziare a pensare che c’è un modo alternativo per sfamare l’Italia, sfruttando il sole e il territorio del Belpaese e dando al tempo stesso sviluppo e speranza alle generazioni future.

© Riproduzione riservata