Qualcuno pensa che sia l’inizio della fine, altri (i più) che si tratti di un’efficace azione di marketing. Fatto sta che la Philip Morris ha annunciato che nei prossimi dieci anni avvierà una progressiva diminuzione della vendita di sigarette tradizionali e che entro il 2030 smetterà di venderle in Giappone.

L’annuncio dell'amministratore delegato della multinazionale statunitense, Jarek Olczak, si è spinto oltre: “Il nostro obiettivo è quello di realizzare una società senza sigarette” ha detto. Già nel 2016 l'azienda produttrice delle Marlboro aveva annunciato una strategia di lungo termine che prevede la sostituzione delle tradizionali bionde con alternative meno nocive, senza però mai fornire un riferimento temporale. "Vogliamo che il Giappone sia il primo mercato al mondo", ha detto il numero uno della Philip Morris. 

La scelta del Giappone non è casuale. Il Paese è considerato uno dei paradisi per i fumatori, perché le sigarette costano mediamente 3,80 euro a pacchetto contro gli oltre cinque dell’Italia e gran parte delle confezioni non contengono le immagini-shock che negli altri Paesi dovrebbero contribuire a tenere lontane più persone possibile dalla nicotina. Il governo di Tokyo, inoltre, ricava tanti yen dall'industria del fumo e controlla un terzo del capitale azionario di Japan Tobacco, il terzo produttore di sigarette al mondo.

La Nuova Zelanda ha in mente un piano ancora più ambizioso: rendere il Paese, popolato da circa cinque milioni di persone con il 10% di fumatori, smoking free dal 2025. Ed ha in corso sino alla fine di maggio una consultazione popolare per chiedere alla popolazione consigli su come attuare il piano e in quante fasi. Un piano, in realtà, partito nel 2010 con un aumento progressivo della tassazione sulle sigarette.

In realtà quelle delle multinazionali del tabacco – di cui la Philip Morris è il vertice – sono strategie di marketing. Da quando le politiche dell’Organizzazione mondiale della sanità e dei governi nazionali hanno iniziato a evidenziare i danni del tabacco hanno cercato nuove strategie per attirare in particolare le nuove generazioni. E ci sono riuscite con il tabacco riscaldato. Non a caso il dispositivo Iqos di Philip Morris, capace di scaldare il tabacco senza bruciarlo, è il più diffuso al mondo ed è un must tra gli over 16 (ma non solo) e nel nostro Paese ha ormai raggiunto una quota di mercato vicina al 10 per cento.

Mentre si avvicina la Giornata mondiale del tabacco, che si celebra il 31 maggio, è già noto, perché lo ha detto l’Istituto superiore di Sanità, che al fumo di tabacco sono attribuiti 93 mila morti l’anno in Italia (8 milioni nel mondo), uno su quattro aveva tra i 35 ed i 65 anni.

E’ certo che durante il lockdown sono diminuiti i fumatori di sigarette tradizionali ma sono aumentati i consumatori di tabacco riscaldato e sigaretta elettronica. E in tanti hanno provato a fumarla per la prima volta proprio durante la pandemia, diventandone dipendenti. Secondo l’Iss, inoltre, tra i fumatori di sigarette tradizionali in molti hanno aumentato il numero. Di contro durante il lockdown la percentuale dei fumatori è passata dal 23,3% al 21,9% (circa 630 mila fumatori in meno). Secondo l’Istat in Italia i fumatori sono poco meno di 10 milioni, hanno prevalentemente tra i 20 e i 44 anni, e consumano circa 14,5 milioni di pacchetti di sigarette. Un’indagine ha rivelato che un quarto degli studenti tra 11 e 15 anni ha fumato almeno una sigaretta al giorno.

Quello delle sigarette elettroniche è invece un vero e proprio boom favorito dal design accattivante dei dispositivi, dall’effetto emulazione, dal fatto che si possano fumare spesso anche all’interno dei locali e, soprattutto, dall’illusione di un minore impatto sulla salute.

In realtà al di là delle affermazioni di parte di chi le vende, le attuali evidenze scientifiche non consentono di conoscere gli effetti a lungo termine del loro consumo.

Nel frattempo proprio la Philip Morris prolifera sul mercato. Il tabacco riscaldato delle sigarette elettroniche compensa il calo delle bionde tradizionali. Non solo, con la tassazione ridotta al 25% rispetto alle “bionde” intasca circa 400 milioni di euro in più all’anno. E può fare pubblicità perché Iqos e i suoi fratelli sono assimilati agli altri dispositivi elettronici. Come se per funzionare non avessero bisogno delle sigarette, prodotte dalle stesse aziende. Un capolavoro di marketing che ha molti fini, certo non quello di tutelare la salute dei cittadini. Un giorno molto lontano ci sarà la fine delle sigarette. Che saranno sostituite da surrogati belli ed eleganti. Certo, non faranno bene alla salute.

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