Quando scatta la prescrizione nel procedimento contabile che deve valutare l’utilizzo lecito o illecito dei fondi ai gruppi in Consiglio regionale? Al momento della richiesta di rinvio a giudizio presentata nel parallelo processo penale, o da quando il singolo consigliere deposita all’ufficio di presidenza il rendiconto che illustra le spese sostenute col denaro pubblico nei 12 mesi precedenti? Il recente stravolgimento della linea interpretativa seguita dai giudici sino a qualche mese fa sta cambiando il finale dei processi e marca una linea di separazione netta tra chi è stato giudicato prima del cambio di rotta (tutte sentenze di condanna) e chi è arrivato a conclusione in un momento successivo (cinque sino a inizio agosto 2022, tutti prescritti).

La necessaria chiarezza

Le domande iniziali infatti dovrebbero avere una risposta chiara e univoca, così che chiunque rimanga impigliato nella rete della giustizia possa sapere con chiarezza i tempi entro i quali la magistratura può esercitare la propria azione o, passato il periodo limite, debba fermarsi. Ma in Italia spesse volte capita che i punti fermi diventino mobili, e le linee invalicabili siano spostate più avanti oppure, come nel caso che ci occupa, più indietro.

La novità dell’Appello

È quanto sta accadendo alla Sezione giurisdizionale d’appello della Corte dei conti, protagonista di uno stravolgimento decisivo nel calcolo del conto alla rovescia che conduce, atto finale, all’impossibilità di chiedere il rimborso del danno provocato dal pubblico ufficiale alle casse delle Regioni. Rimasto immutato il periodo (cinque anni dalla violazione di legge) entro il quale la Procura contabile deve notificare al diretto interessato l’invito a dedurre (equivalente al vecchio avviso di garanzia nel campo penale), i giudici di secondo grado nel valutare i comportamenti dei consiglieri regionali sardi finiti a processo hanno eseguito una inversione di 180 gradi rispetto a una convinzione consolidata che, adesso, viene demolita sentenza dopo sentenza.

Il vecchio calcolo

Cosa è accaduto? Sino alla scorsa primavera, più o meno, l’Appello seguiva questa strada: la prescrizione decorreva dalla formalizzazione dell’imputazione penale, quindi dalla richiesta di rinvio a giudizio inoltrata dal pubblico ministero, e la Procura contabile a quel punto (venuta a conoscenza dell’inchiesta e del possibile “pregiudizio” creato all’ente pubblico) bloccava lo scorrere del tempo notificando l’invito a dedurre allo stesso imputato.

Così nella grande maggioranza dei casi è capitato che i consiglieri regionali sardi in servizio tra il 2004 e il 2009, e a volte anche tra il 2009 e il 2014, abbiano ricevuto la contestazione del danno erariale quando già era trascorso un quinquennio dal termine del proprio mandato e siano stati condannati a restituire al Consiglio regionale le somme spese illecitamente (perché utilizzate per fini ritenuti non istituzionali ma personali). Di volta in volta i medesimi consiglieri accusati di peculato e destinatari della richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura ordinaria venivano sottoposti a procedimenti contabili sfociati in decine di condanne, con l’obbligo di restituire da poche migliaia di euro a quasi due milioni. Qualcuno, avendo rimborsato l’intera cifra, è stato prosciolto.

La Corte dei conti riunita a Roma (archivio)
La Corte dei conti riunita a Roma (archivio)
La Corte dei conti riunita a Roma (archivio)

Tesi ribadita sino a poco tempo fa da alcune Sezioni centrali d’appello che hanno confermato le condanne, tra gli altri, degli ex consiglieri Mario Diana (765.005,87 euro di danno), Francesca Barracciu (circa 77mila), Adriano Salis (sui 60mila), Ignazio Paolo Pisu (23mila euro), Silvestro Ladu (252mila), Mariano Contu (1,2 milioni). Alcuni passaggi della sentenza finale a carico di Contu (2020), che in sede penale nel 2019 ha patteggiato un anno e 10 mesi a fronte di una contestazione scesa da 1,6 milioni a 70mila euro di esborsi illeciti (denaro restituito al Consiglio regionale), illustrano bene la precedente linea interpretativa. Contu ha sostenuto che la prescrizione scattava alla presentazione annuale del rendiconto all’ufficio di presidenza, ricordato che il deposito avveniva nel marzo successivo all’esercizio di riferimento e spiegato che l’ultimo era stato consegnato nel marzo 2010; quindi, poiché l’invito a dedurre era arrivato nel settembre 2018, l’azione contabile non poteva essere esercitata. I giudici viceversa hanno ribadito che «la giurisprudenza contabile stabilisce - con orientamento unanime e consolidato - che il termine di prescrizione dell’azione erariale sia ancorato alla formalizzazione dell'imputazione penale, che interviene con il provvedimento di rinvio a giudizio». Arrivato nel 2017. Un anno prima. Quindi, condanna.

L’attuale orientamento

Ma quell’orientamento definito appena tre anni fa «unanime e consolidato» è stato stravolto in questo 2022, ed è emerso con chiarezza quando la Seconda sezione d’appello ha pronunciato la sentenza per quattro ex consiglieri regionali in aula dal 2004 e il 2009: il 20 giugno (come già pubblicato sull’Unione Sarda il 22) per Renato Cugini e Giuseppe Fadda (è stata dichiarata la prescrizione), poi il 15 luglio è stata la volta di Francesco Sabatini, il 20 di Antonio Biancu e l’8 agosto di Antonio Cappai (stesso finale). Altre uguali è presumibile arriveranno, perché questa nuova valutazione ha anticipato di parecchio l’avvio del conto alla rovescia.

Per capire, si possono riassumere proprio le ultime decisioni. In sintesi, gli avvocati Matilde Mura, Guido Manca Bitti, Antonio Nicolini, Mauro Barberio, Stefano Porcu, Francesco Scifo, Giulio Steri e Francesco Cocco Ortu hanno sostenuto, tra i motivi d’appello, che il calcolo della prescrizione debba partire dalla presentazione del rendiconto annuale in Regione: in quel momento l’amministrazione pubblica «può valutare se il denaro è stato usato per i fini istituzionali previsti» e, in caso contrario, agire di conseguenza. Tesi respinta in primo grado dalla Corte dei conti sarda, secondo cui il sistema di rendicontazione non era «idoneo» a rappresentare le spese e «consentirne la valutazione» perché non c’era l’obbligo di depositare i documenti giustificativi delle spese, dunque gli organi regionali «non potevano avere contezza» dell’eventuale uso illecito del denaro. Dunque tutto dipendeva dalla richiesta di rinvio a giudizio in sede penale. Ed ecco le condanne in primo grado: Cugini doveva restituire 24.858,50 euro, Fadda 391.941,80, Sabatini 31.360, Biancu 93.744,15 e Cappai 35.300. Decisioni cancellate dalla seconda sezione giurisdizionale d’appello composta dalla presidente Rita Loreto, dai relatori Domenico Guzzi ed Erika Guerri e dai consiglieri Roberto Rizzi, Ilaria Annamaria Chesta e Nicola Ruggiero.

Le motivazioni

Questa invece la valutazione del collegio di secondo grado. Basarsi sull’esercizio dell’azione penale va bene «quando l’amministrazione» danneggiata «o la Procura contabile» non sappiano del possibile pregiudizio, «conoscibile solo tramite mirate indagini» della Procura ordinaria. Se invece «gli elementi di cui si dispone sono sufficienti per intuire il danno prima della definizione del quadro penale», la situazione è diversa. Così sarebbe accaduto in quei casi, convinzione legata al funzionamento del rendiconto «regolato dalla delibera regionale 293 del 1993»: deve essere depositato ogni anno da tutti i gruppi «con una relazione finanziaria che elenchi le spese sostenute per i convegni indicando estremi e località, i compensi corrisposti per studi, ricerche e consulenze con l’indicazione dei relativi beneficiari, la natura dei beni acquistati e dei servizi di cui si è avvalso il gruppo coi relativi costi, l’articolazione della spese diverse e della categoria residuale spese per altre attività». Un dettaglio tale da spingere i giudici a ritenere che «non serva a fornire una semplice rappresentazione contabile dell’impiego dei fondi» ma funga invece da «strumento che poteva sopperire alla carenza di informazioni sul loro effettivo uso». L’assenza dell’obbligo di depositare i documenti di spesa «non privava il rendiconto della sua funzione», cioè della possibilità di esaminare la destinazione dei fondi e il loro effettivo impiego, quindi «non c’è dubbio che l’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale poteva valutare, attraverso il collegio dei questori, il merito della gestione» del denaro «e sindacare sulla sua legittimità».

Rendiconto decisivo

Insomma, già col rendiconto depositato si «creavano le condizioni» per sapere se si stava commettendo un illecito o no, e dunque non era necessario attendere la richiesta di rinvio a giudizio penale per scoprire l’esistenza del possibile danno. Valutazione che gioco forza anticipa di anni l’avvio del periodo di prescrizione. Ecco perché per Cugini, Fadda, Sabatini e Biancu il danno è stato ritenuto prescritto (non è un’assoluzione): l’invito a dedurre per loro è arrivato troppo tardi.

Ragionamento che avrebbe portato a un identico risultato per tutti gli altri ex consiglieri condannati in Appello o quasi, perché alcuni hanno preferito patteggiare o pagare l’intera somma per uscire subito dal procedimento. Ma su di loro questo cambio di rotta non avrà effetti: è una diversa interpretazione in diritto, le decisioni precedenti non sono basate su un errore in fatto. Dunque non è possibile ottenere la revocazione delle sentenze già definitive.

La sede della Corte dei conti a Roma (archivio)
La sede della Corte dei conti a Roma (archivio)
La sede della Corte dei conti a Roma (archivio)

Una beffa che si accompagna a un problema. La strada intrapresa dalla Seconda sezione d’appello (e in parte dalla Terza) pare al momento non essere condivisa dai colleghi della Prima sezione d’appello (e a volte dalla Terza), che nelle sentenze continuano ad ancorare la prescrizione alla data di richiesta di rinvio a giudizio in sede penale. Così il consigliere regionale che sarà giudicato dalla Seconda sezione potrà dirsi fortunato; il compagno di banco che, rispondendo delle stesse accuse, dovesse finire davanti alle altre due sezioni, potrà dirsi danneggiato. Così è accaduto proprio a Salis e Barracciu, giudicati dalla Terza e dalla Prima sezione quest’anno. Forse sarebbe opportuno che il cortocircuito sia eliminato attraverso una valutazione univoca delle Sezioni riunite della Corte dei conti, che indichi in via definitiva il presupposto sul quale decidere in casi simili. Prima che arrivino altre decisioni di segno opposto l’una dall’altra.

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