La banda è rinchiusa nella Banca di Spagna da più di quattro giorni. Finora ha sempre affrontato i momenti bui con un piano di “fuga”, ma da quando il professore è stato catturato, quel piano di fuga non c’è. La fine del più grande colpo della storia si avvicina. Il 3 dicembre arrivano su Netflix gli ultimi 5 capitoli della serie dell’addio, la quinta, della Casa di Carta. Nella storia della banda, è uno dei momenti più critici di sempre. Il gruppo è alle strette, sembra davvero arrivata la fine. Ma l’impressione, guardando i primi cinque episodi della quinta serie, lo scorso settembre, è che gli sceneggiatori siano davvero arrivati alla fine. Alla frutta, per dirla peggio ma in maniera più efficace. Perché hanno sfruttato il grande successo (e il cospicuo budget) solo per imbastire un’improbabile serie di sparatorie inframmezzate da qualche dialogo. Dentro la banca di Spagna si sparano migliaia di colpi, ma nessuno muore: proiettili a vuoto, uno via l’altro; granate che fanno solo rumore. Certo, chi è rimasto intrappolato nella trama delle stagioni precedenti vuole capire come va a finire. Ma il senso di fallimento è palpabile. Poche idee sulla sceneggiatura e un pessimo impianto narrativo.

Uscita nel 2017, La Casa di Carta è diventata un successo internazionale perché, come sostiene qualcuno, ha saputo mischiare Tarantino e Breaking Bad. Cinque stagioni, appena quattro anni, per diventare da poco meno di un flop su Antena 3 a un fenomeno di costume mondiale. Poi, però, strada facendo, nel tentativo di dare fiato a una sceneggiatura che si sarebbe potuta chiudere in due stagioni, spinta dagli incassi stratosferici, si è persa. E adesso, quindi, cosa possiamo aspettarci dall’ultima stagione che racconta le avventure della banda di ladri vestiti di rosso e con la maschera di Dalì? Nei primi cinque episodi rilasciati da Netflix si susseguono scene improbabili di guerriglia ed esplosioni tutte uguali a sé stesse, allungando a dismisura, attraverso il ricorso spinto all’action, neanche fosse un film di 007, una vicenda che non ha davvero più molto da dire. Anche i flashback finalizzati a riesumare un personaggio come Berlino, insieme al professore il personaggio più interessante della serie, uscito di scena già alla seconda stagione, paiono slegati dal contesto: lo ritroviamo a Copenaghen quattro anni prima del colpo mentre introduce il figlio al mondo del crimine con una rapina al castello.

Gli eroi di questa storia sono proprio i ladri: nella serie tv non c’è spazio per bianco o nero, buoni o cattivi. E gli spettatori sono portati naturalmente a tifare per loro, a soffrire per le loro perdite e a gioire dei loro successi. Tokyo (Ursula Corbero) è morta. La banda è chiamata ad affrontare la sfida più grande escogitando un audace piano per ottenere l’oro senza che nessuno se ne accorga. A peggiorare le cose, il professore commette l'errore più grande della sua vita. Queste le poche note di produzione diramate da Netflix che vuole ovviamente mantenere alta l’attesa, su come andranno le cose in questi cinque episodi, definiti tutti “finali”, chissà, forse per dare ancora maggiore enfasi e forza a ognuno di essi, in attesa, almeno così sperano i fan, di un film o di uno spin-off di qualche personaggio. Ipotesi, però, già smentita dai produttori.

Alcuni volti nuovi hanno esordito in quest’ultima parte. Patrick Criado che interpreta Rafael, figlio di Berlino. Un ragazzo pulito, timido e impacciato, che possiede però un’arma potentissima, la sua laurea in ingegneria informatica presa al MIT, in Massachusetts. Oltre a lui il terribile Sagasta, interpretato da José Manuel Seda, comandante delle Forze Speciali dell’esercito Spagnolo. Un vero criminale circondato dalla sua squadra senza scrupoli. “In questa ultima parte”, dice l’attore Pedro Alonso (Berlino), “vedremo una sorta di peripezia emotiva dei personaggi, troveremo delle risposte a domande lasciate aperte nei primi 5 episodi, come se assistessimo all'inserimento dell'ultimo tassello di completamento di un puzzle”. Davvero?

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