Quando gli agenti firmano quel contratto, forse Jason “Jay” Kay, front man dei Jamiroquai, fa salti di gioia: la tournée italiana fa uscire la band dal ristretto ambito dell’underground per lanciarla definitivamente nel pop. Solo che, nel frattempo, accade l’imprevedibile: il primo 45 giri, “When you gonna learn”, diventa un successo; la band viene ingaggiata dalla Sony con la quale sottoscrive un contratto per produrre otto nuovi dischi.

Ma c’è, appunto, da rispettare un contratto precedente, quello firmato quando ancora la band apparteneva a un’etichetta indipendente. I concerti italiani sono gli ultimi prima di approdare a una major. Sono quelli, per intendersi, nei quali dovranno accontentarsi di un cachet limitato. Kay, ovviamente, è tutt’altro che entusiasta. Ma quelle tre tappe, a Cagliari, a Firenze e a Napoli, deve per forza farle. In quell’ormai lontano 1993, Cagliari è una delle capitali italiane del clubbing: al Jazzino, lo spazio ricavato alla Fiera campionaria, arrivano artisti del calibro di Incognito, The Brand New Haevies, Galliano, Diana Brown & Barrie K Sharp, Brothers Like Outlow e Allison Evelin. Per la seconda edizione del “Summer Groove”, è previsto, in quel 20 luglio 1993, il concerto dei Jamiroquai.

Alla Fiera si ritrovano qualche migliaio di giovani. Non tutti, va detto, giunti esclusivamente per assistere al concerto. Il Jazzino in quegli anni rappresenta un punto di riferimento per le notti cagliaritane: le serate sono organizzate dalla coppia Bulla & Saba, alla consolle si alternano quelli che poi diventeranno apprezzati giornalisti, Andrea Massidda e Francesco Abate (e quest’ultimo esordisce da scrittore con Mister Dabolina, romanzo che ripercorre le atmosfere notturne di quegli anni).

La serata comincia, così, con la musica proposta da Massidda e Abate mentre Kay è in albergo e inizia a fare le bizze. Non ha proprio voglia di spostarsi alla Fiera per il concerto. Alla fine, pur con una certa fatica, finalmente gli organizzatori di Jazz in Sardegna riescono a portarlo ai camerini. Ma anche nei camerini il musicista londinese si mostra tutt’altro che ben disposto: sembra infastidito dal fatto che ad attenderlo non ci sia una platea silenziosa ma, invece, qualche migliaio di giovani che ballano.

Il musicista non vuole uscire dai camerini, i presenti cominciano a spazientirsi. Certo, i Jamiroquai sono un di più ma, alla fine, hanno cacciato fuori qualche migliaio di euro. I cori “Jamiro, Jamiro” vengono sostituiti dai fischi. Che cosa fare per stemperare la tensione? Abate prende il microfono e annuncia l’entrata della band londinese. In realtà, sul palco compare uno dei pierre della serata, Massimo Saba, che indossa un vistoso gilet impreziosito dai paillettes. Lui è un istrione, gigioneggia sul palco, strappa risate e applausi.

Applausi che, ovviamente, arrivano anche nei camerini. Sono la goccia che fa traboccare il vaso. Chi sta rubando i “suoi” applausi a Kay? Il musicista è furibondo, decide che quel concerto non si farà. La situazione è drammatica.

Nel frattempo, Saba lascia il palco e va verso i camerini. Gli raccontano quello che sta accadendo: lui ha vissuto per qualche tempo a Londra, parla un buon inglese. Ma ha parecchio alcol in corpo e la sua parlata diventa quasi una parodia. Kay lo sente e incomincia a ridere.

Ma, forse, a colpirlo ancora di più è quell’improbabile gilet indossato dal pierre cagliaritano. «Se vuoi che esca sul palco», gli dice, «mi devi regalare il tuo gilet». Saba non fa una piega: se lo sfila e lo consegna a Kay. Perché quel regalo? In fondo, c’era un contratto che obbligava la band londinese ad andare sul palco. «Perché, in questo modo», è stata la risposta di Saba a distanza di anni, «abbiamo avuto la certezza che il concerto ci sarebbe stato. E perché, comunque, io non ho perso niente. Appena avevo visto quel gilet in un negozio di Londra, me ne ero innamorato. Mi era piaciuto talmente tanto che ne avevo comprato due. Quindi il mio non è stato, poi, un così grosso sacrificio».

Inutile, forse, dire che il concerto ci fu e che fu anche un successo. E no, non è una leggenda il fatto che la band salì sul palco solo grazie al prodigarsi di organizzatori e pierre. Basta fare una ricerca su Google per scoprire che, a raccontare le bizze dei Jamiroquai (e, in particolare, il fatto che il concerto stava per saltare), furono anche i giornali nazionali.

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