«Amo intensamente Montecristo, quest’isola veramente selvaggia del Mediterraneo, questa riserva naturale protetta dalle mani sporche dell’Uomo Tecnologico. Essa rappresenta, per me, un simbolo di purezza e verginità, un’oasi accogliente in mezzo a quel deserto che è il sistema di vita del nostro tipo di civiltà». È il 22 novembre 1976 quando Jacques Mayol, leggendario pluriprimatista di immersioni in apnea, scrive queste parole. Lui è l’Uomo delfino, una definizione che gli viene cucita sulla pelle, e che darà il titolo al suo libro edito nel 1979 (Homo Delphinus) da Giunti Editore, ripubblicato poi nel 2002 dalla stessa casa editrice. Quelle «mani sporche dell’Uomo Tecnologico» oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, pesano come un macigno sulle coscienze del Pianeta.

Mayol, in qualche modo antesignano e precursore di quella sensibilità ambientalista che caratterizzerà l’opinione pubblica sino ai giorni nostri, racconta di Montecristo mentre è nella spiaggia di Pareti a Capoliveri, dove ormai vive da anni, nell’Isola d’Elba. Svela che quella terra emersa nel blu dove lui si allena, è un po’ il suo portafortuna, «un segno di buon augurio» nei quattro anni di esperimenti di immersioni profonde. Oggi a distanza di 20 anni dalla sua morte è sempre più attuale il prezioso insegnamento etico, filosofico e umano del grande filosofo delle profondità.

L’ESPLORATORE. L’eterno rivale di Enzo Maiorca e maestro di Umberto Pellizzari, è stato un vero intellettuale del Blu sommerso, un filosofo dell’abisso come nessun altro, esploratore dell’essere umano, delle sue capacità acquatiche e delle sue origini. Un ricerca durata un’intera vita che lo ha portato a scoprire l'antico legame dell’uomo con gli altri animali del Pianeta acqua, in particolare i delfini «quei maliziosi figli del mare, nostri fratelli», scrive Mayol. Insieme a Maiorca ha contribuito a sfatare quanto erroneamente, fino a metà anni Sessanta, veniva ritenuto riguardo ai limiti umani di discesa. E cioè che oltre una certa profondità (oltre i 40 metri), il nostro torace verrebbe schiacciato dalla pressione idrostatica. Mayol, osservando i mammiferi marini, intuisce che ciò non avviene e così grazie anche alle sue prestazioni sportive, spinge la ricerca medica a scoprire il cosiddetto bloodshift, lo scivolamento ematico, quella reazione fisiologica che accomuna l'uomo ai mammiferi acquatici: in pratica l’aumento del volume del sangue (incomprimibile come tutti i liquidi) nei capillari alveolari, evita lo schiacciamento del torace. Saranno proprio i delfini a insegnargli i segreti dell’apnea, l’interruzione volontaria (o involontaria) della respirazione. Fra tutti la sua maestra-sorella amata. Si chiamava Clown. «Il delfino, o forse dovrei dire Clown, la delfina, perché era, come vedrete, una femmina nel più ampio senso della parola», racconta nel libro.

22 DICEMBRE 2001. Nel 1988 il festival di Cannes si apre con la proiezione del film di Luc Besson, Le Grand Bleu. C’è un passaggio drammatico e inquietante nel finale della pellicola che racconta l’amicizia ma anche la rivalità tra i due sub più conosciuti al mondo, Mayol e Maiorca. L’apneista francese (interpretato dall’attore Jean-Marc Barr) durante una immersione notturna decide di seguire il richiamo irresistibile dei delfini e insieme a loro raggiunge gli abissi scuri dell’acqua. Là, dove la luce terrestre non può arrivare, ma dove esiste un’altra vita altrettanto luminosa. E come se Mayol, nella finzione filmica di Besson, abbandonasse l’esistenza terrestre per tornare alle origini della vita, dai suoi «fratelli del mare». Non può lasciare indifferenti l’inquietante continuità con la vita reale dell’apneista nato a Shangai nel 1927, («il primo aprile, cosa che mi valse il soprannome, del resto meritato, di “pesce”) e che circa vent’anni fa, il 22 dicembre 2001, “viene ucciso” da una grave e lunga crisi depressiva. A trovare il suo corpo ormai privo di vita nella casa a Capoliveri, una sua amica, allarmata perché non riusciva a mettersi in contatto con lui, come riporteranno i giornali di quegli anni.

VIVERE CON I DELFINI. C’è un episodio nella sua vita che segna una svolta profonda: il magico incontro con i delfini, quelli in mare aperto e quelli in cattività del Seaquarium di Miami. In particolare l’incontro con Clown. Dal grande legame che riesce a instaurare con questi animali meravigliosi, Mayol impara tutte i segreti dell’esistenza sottomarina e dell’apnea. E su questo legame scrive pagine struggenti, di una dolcezza senza limiti e di profondo rispetto nei confronti di questi esseri. Soprattutto della sua amica con cui passa intere giornate. «Lei mi insegnò, così, a trattenere il respiro sempre più a lungo, ad ogni immersione, senza fare la preventiva iperventilazione; a lasciarmi andare giù; a lasciarmi cullare dal movimento dell’acqua, a sciogliermi in essa, a integrarmici totalmente, morbidamente, senza sforzi con la massima economia di movimenti ed efficacia. Lei mi insegnò a piegarmi sotto le onde e ad essere costantemente attento. Mi insegnò a comportarmi sott’acqua, in apnea, come un felino si comporta sulla terra. Più che ogni altra cosa - specifica - lei mi insegnò a sorridere interiormente». Mayol poi svela: «Sembra poco, e tuttavia è una cosa grandissima, perché grazie a questi insegnamenti diretti ho potuto più tardi impegnarmi sulla via che conduceva all’immersione profonda dei meno cento metri». Quando Clown morirà nel maggio del 1972 sarà un colpo durissimo per Mayol. Era andato a farle visita prima di un viaggio in Oriente. «Pensavo che forse non avrei potuto rivederla prima di diversi mesi. Avevo paura che diventasse troppo vecchia. Fu quasi un presentimento». Mayol varca l’ingresso del Seaquarium e intuisce subito che qualcosa di ineluttabile è accaduto. Clown non c’è più. «Lei era morta da una settimana in seguito a una infezione delle vie respiratorie. Ora, la stella dello spettacolo era una figlia che lei aveva avuto nel frattempo. Così lo spirito della mia compagna si era perpetuato. Tale è la legge del ciclo della Vita e della Morte». Ma per Mayol la sua compagna di tante scoperte ed esplorazioni continua a esistere. Clown vive con lui. «La vedo quando passo al Seaquarium per andare a fare visita a sua figlia che le assomiglia come una goccia d’acqua e sembra che abbia lo stesso carattere; e la ritrovo ogni volta che il mio sguardo incontra quello di un altro delfino. Ho la netta sensazione che vi sia dietro quello sguardo qualcosa che non riesco a capire. Sento che c’è un’affinità fra quel delfino e me, fra tutti i delfini e tutti gli uomini». È tutto qui.

Tre giorni prima di quel triste Natale del 2001, Jacques Mayol, decide che forse è arrivato il momento anche per lui di raggiungere la sua amica speciale. Quell’Uomo delfino, insegnante di disciplina Yoga, che a 56 anni aveva strappato all’abisso la targhetta dei -105 metri, tornò al mare. Le sue ceneri, come aveva chiesto, vennero sparse dai suoi amici al largo della Toscana nell’infinito blu. Da dove era venuto.

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