La pressione fiscale dell’anno scorso è stata del 42,5%. Infatti abbiamo pagato – se siamo tra i contribuenti che non evadono - il 47,4%. Considerata la differenza tra il dovuto e il pagato (quest’ultimo è maggiore del 4,9%), verrebbe da parafrasare Vasco Rossi: vorremmo trovare un senso a questo fisco, anche se questo fisco un senso non ce l’ha.

Eppure è andata così, e ad affermarlo è l’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, la famosa Cgia, che conduce da tempo studi serissimi che nemmeno il Governo si sente di smentire. Infatti non lo fa. Essere fedeli al fisco non significa che il fisco sia fedele a noi, e i conti della Cgia lo dimostrano: stabilita l’aliquota, nella realtà si paga quasi il cinque per cento in più. E la cosa che più stupisce, è che sia tutto regolare sotto il profilo legale, anche se tutto questo può far impazzire un professore di matematica.

Eppure il ragionamento è semplice: nel nostro Prodotto interno lordo (il famigerato Pil) non c’è l’intero prodotto interno lordo: c’è solo la parte dichiarata al fisco. Però il Pil reale comprende anche gli effetti dell’economia sommersa, che nelle casse dello Stato non porta nemmeno un centesimo. Come si calcola la pressione fiscale su una popolazione? Semplice: è il rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, e se proprio dal Pil togliamo il “sommerso” (la quota cioè che sfugge al fisco), ecco che il peso del fisco a carico di chi paga sale. Paghiamo sì il 42,5% di quel che entra nel nostro reddito, ma se il Pil si ripulisce dal sommerso per il quale chi ha quei soldi in tasca non paga le tasse, automaticamente la percentuale del reddito dei contribuenti (quella reale) che va al fisco sale al 47,4%. L’assenza nei pagamenti dell’evasore aggrava insomma il carico di imposte a chi se le fa (per chi non può evitarlo) “imporre”.

Tutto questo è avvenuto in un 2023 che ha visto una riduzione della pressione fiscale assai modesta (si parla dello 0,2%), ma che in molte famiglie darebbe anche una minima sensazione di qualche molecola di ossigeno in più nell’aria. Ma non si è notato: saranno anche calate le tasse, ma sono aumentate le tariffe, a partire da quelle energetiche, quindi di questo “sconto” di tassa nessuno se ne accorge.

La Cgia di Mestre ha fatto i conti in tasca (e non in banca) all’economia non osservata (significa “sommersa”) del nostro Paese, che nel 2021 (sono i dati disponibili più recenti) aveva raggiunto i 192 miliardi di euro: è l’11,7% del valore aggiunto nazionale. Di quei 192 miliardi del 2021, 173,8 erano dovuti al sommerso economico, mentre il resto (18,2 miliardi di euro) alle attività illegali, come ad esempio lo spaccio di droga, che neanche i più fessi dichiarano sul precompilato del 730. L’Ufficio studi della Cgia di Mestre ritiene che l’incidenza dell’economia sommersa e delle attività illegali, nel 2022 e 2023, sia uguale a quella del ’21.

Fatti i calcoli “ufficiali”, con i criteri stabiliti da Eurostat, il calcolo di una tassazione al 42,5 per cento è dunque vera contabilmente, ma non reale in euro.

Di recente la stessa Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre ha ricontrollato il report aggiornato sull’economia sommersa e sull’evasione fiscale e contributiva nel nostro Paese. I dati del Mef (il ministero dell’Economia e finanze) stimano in 83,6 miliardi di euro il totale dell’evasione delle tasse: un dato in calo rispetto agli anni precedenti ma nel quale continua a trionfare l’evasione dell’Irpef dei lavoratori autonomi, che vale 30 miliardi in euro e il 67,2 in percentuale. Significa, in poche parole, che gli autonomi versano solo un terzo del dovuto al fisco, e il resto va a carico dei dipendenti.

Tuttavia, secondo la Cgia mestrina, queste stime sono da prendere con le molle. Sì, perché artigiani e commercianti del Nord, nelle dichiarazioni dei redditi relative al 2021, hanno appunto dichiarato in media 33mila euro lordi. E il 70% di queste ditte sono individuali con partita Iva, cioè il titolare lavora da solo. Se fosse vero che l’evasione da parte di queste categorie è oltre il 67% di quella reale, significherebbe che nella realtà (compreso il “nero”) dovrebbero guadagnare in media oltre 73mila euro l’anno: impossibile per chi lavora da solo e cura tutta l’amministrazione quotidiana dell’azienda individuale, perché dovrebbe lavorare senza sosta giorno e notte, senza mai ammalarsi o andare in ferie.

Certo, gli “autonomi” hanno un ruolo nell’evasione fiscale generale: quanti di loro, quando vengono nelle nostre case per eseguire un lavoro, ci consegnano una fattura? La risposta è lì. Però, nelle stime non si teneva conto dei lavoratori autonomi esclusi dal pagamento dell’Irap che hanno scelto il regime fiscale dei “minimi”. Chi sono? La Cgia di Mestre li elenca: buona parte delle imprese agricole, i professionisti che non hanno una propria organizzazione e i lavoratori domestici. In tutto, sono due milioni e mezzo di persone, ben oltre la metà dei lavoratori indipendenti. Se si includono nei calcoli, si chiede la Cgia, a quale picco arriverebbe l’evasione del “popolo delle partite Iva”?

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