L’ultimo a tornare in Italia è stato un capolavoro di Artemisia Gentileschi, artista della scuola di Caravaggio, una delle prime donne della storia a ribellarsi al suo destino, quello di dover sposare il suo aguzzino, dopo uno stupro. Famosa per diversi quadri, tra cui la decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta (che rievoca un episodio biblico), la Gentileschi, vissuta tra Roma e Napoli dal 1593 al 1653 e figlia d’arte (il padre Orazio faceva anche lui parte della schiera dei caravaggeschi), dipinse la Caritas Romana tra il 1643 e il 1644.

Il quadro ha fatto di recente ritorno in Italia grazie ai Carabinieri del nucleo di Tutela del patrimonio culturale di Bari, coordinati dalla Procura del capoluogo pugliese, che sono riusciti a rintracciarlo in Austria dove era stato esportato illecitamente e stava per essere venduto tramite la casa d’aste Dorotheum di Vienna per una cifra che si aggirava intorno ai due milioni di euro. Il provvedimento europeo di congelamento del bene, un po’ come accade oggi ai patrimoni degli oligarchi russi, è stato per la prima volta applicato a un’opera d’arte e così il dipinto è stato riportato nel Castello Marchione di Conversano, in provincia di Bari, dove trovava la sua collocazione naturale. Indagati gli attuali proprietari dell’opera che erano riusciti a farla espatriare e a metterla in vendita fornendo indicazioni false sulla reale portata del dipinto e sul legame che esiste appunto con il castello pugliese.

L’opera

Il dipinto fu commissionato ad Artemisia Gentileschi dal conte Guglielmo Acquaviva d’Aragona a metà del 1600. Il tema della Caritas Romana arriva dai miti antichi e riprende una vicenda con cui si sono cimentati anche molti altri autori: è il racconto fatto nel 31 dopo Cristo dallo storico romano Valerio Massimo nella sua opera “Factorum e dictorum memorabilium libri IX”, quando narra la storia dell’anziano Cimone, incarcerato e condannato a morte per fame, che viene salvato dalla figlia Pero, che lo allatta segretamente. Scoperta da un secondino, non viene però denunciata ma si arriva alla liberazione del padre. Il conte d’Aragona scelse di commissionare questo quadro perché il mecenate, nella sua esistenza, subì un’ingiusta detenzione, a Napoli, per via di intrighi politici e con quella rappresentazione volle così dare evidenza a un fatto della propria vita accostandolo a un mito del passato.

Patrimonio nel mondo

L’opera di Artemisia recuperata dai militari dell’arma, dunque, torna in Italia, non come tanti altri beni artistici dispersi nel mondo tra case d’asta, collezioni private e beni trafugati in passato. Un’inchiesta del Corriere della Sera di qualche anno fa metteva in evidenza, ad esempio, che gli aspetti peculiari della pittura del Trecento e Quattrocento, nonostante le maggiori scuole si trovassero ad esempio in Toscana, sono oggi rintracciabili ad Avignone, nel Petit Palais, dove sono conservate le maggiori opere pittoriche del nostro Paese di quell’epoca.

Ma non è solo colpa delle campagne napoleoniche in Italia o della calata nel Belpaese dei Nazisti a rastrellare opere d’arte se oggi sono disperse all’estero. La verità è che nei secoli passati l’Italia ha visto una tale concentrazione di artisti e capolavori che non ha eguali nel mondo e che sono finiti oggi nei luoghi più disparati. Per esempio, tornando al Petit Palais di Avignone, le opere che sono lì conservate facevano parte della straordinaria collezione privata di Giovanni Pietro Campana, un aristocratico che raccolse una quantità enorme di pitture e sculture, che venne messa sotto sequestro dallo Stato pontificio nel 1857 per il fallimento del suo proprietario. Lo straordinario patrimonio accumulato venne messo all’asta, alcuni pezzi finirono anche allo Zar di Russia e una parte dispersa qua e là fino a quando lo Stato francese si rese conto di poter mettere insieme in un unico luogo, ad Avignone appunto, i dipinti dei cosiddetti “Primitivi”, cioè gli autori della pittura che precedettero lo straordinario periodo del Rinascimento.

Le altre collezioni

Famiglie come i Colonna, gli Aldobrandini o i Chigi, nei secoli passati, sono state dei veri e propri centri di mecenatismo per gli artisti italiani, accumulando opere e capolavori di valore inestimabile. Oggi, quelle raccolte sono disperse per il mondo. Questo anche grazie al Risorgimento, che ebbe una certa ritrosia nei confronti delle opere sacre. Da lì anche alcune leggi sui beni ecclesiastici che portarono molte opere ad essere vendute all’estero.

Poi ci pensarono nazismo e fascismo a fare il resto. Il Discobolo Lancellotti, oggi conservato a Palazzo Massimo a Roma, scultura del II secolo dopo Cristo, rinvenuta nel 1781 all’Esquilino, fu consegnato a Hitler con il benestare di Mussolini, nonostante la protesta di molti intellettuali italiani. Poi ci pensò Goering, gerarca nazista appassionato d’opere d’arte a far portar via da Montecassino casse e casse di beni di grande valore nel 1943. Molte contenevano anche i tesori della reggia di Capodimonte a Napoli, oggi trasformata in museo e nelle cui sale trovano ampio spazio proprio i pittori caravaggeschi come Artemisia Gentileschi. Le opere d’arte furono spedite nella miniera d’Altaussee, un piccolo museo nascosto sotto terra nelle Alpi austriache che nel giro di due anni arrivò a contenere 6577 tele, 239 disegni o acquerelli, 964 stampe e 137 altri oggetti di valore. Sculture e dipinti che sarebbero dovuti finire a Linz poi in un museo personale del Fuhrer. Fortunatamente si salvarono da un’esplosione minacciata dai nazisti per non farle ritrovare agli alleati. Se questo fosse accaduto avremmo perso anche la Madonna di Bruges di Michelangelo, che invece è tornata al suo posto. Non è in Italia ma fa parte di quel patrimonio artistico dal valore inestimabile che ha reso il nostro Paese unico al mondo.

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