Carola Rackete ha fatto il suo dovere: la comandante della motonave Sea Whatch 3 con a bordo decine di migranti tratti in salvo nel mare Mediterraneo aveva l’obbligo di portare i naufraghi in un porto sicuro. Questo vale come scriminante per le violazioni commesse. Ossia, nel momento in cui ha provocato una collisione con la motovedetta della Guardia di Finanza che tentava di impedire l’attracco nel porto di Lampedusa non ha commesso un reato. Anche perché l’imbarcazione delle Fiamme Gialle non era classificabile come nave da guerra in quanto affidata a un maresciallo.

E ancora: alla luce di quanto previsto dal Codice della navigazione, un’imbarcazione durante le manovre in porto ha sempre la precedenza e la motovedetta della Guardia di Finanza ha causato un ostacolo senza che ci fosse un ordine specifico. Il contatto inoltre è stato laterale, non si è trattato quindi di speronamento, dunque non è perseguibile penalmente.

Questa la sintesi delle motivazioni con le quali il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento nei giorni scorsi ha archiviato il caso risalente al 29 giugno 2019.

Carola Rackete era accusata di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. Tutto era cominciato il 12 giugno di tre anni fa: alle 20,45 al Centro nazionale di soccorso marittimo era arrivata la comunicazione di un intervento di soccorso a 45 miglia dalla costa italiana, all’interno della zona SAR libica, da parte della motonave Sea Watch battente bandiera olandese. Alle 23 le autorità libiche avevano comunicato l’assegnazione di un posto per la barca a Tripoli. Ma la motonave, sottraendosi al coordinamento libico, si era diretta verso nord. Le autorità italiane avevano ribadito la loro incompetenza territoriale ma, poiché nessuna risposta era arrivata da quelle olandesi, avevano intimato alla Sea Watch di non entrare nelle acque territoriali italiane. Così la motonave si era fermata a 17 miglia da Lampedusa e dalle 6,30 del mattino successivo le imbarcazioni italiane avevano avviato il controllo-monitoraggio della situazione. Nel frattempo il 14 giugno era intervenuta una modifica legislativa al Testo Unico che inaspriva le sanzioni per alcuni delitti legati all’immigrazione clandestina, così, in attuazione delle nuove disposizioni, era stato formalizzato un provvedimento interministeriale – firmato dai ministri dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture - con il quale era stato disposto il divieto di ingresso, transito e sosta della Sea Watch nelle acque territoriali italiane.

Carola Rackete (foto Ansa)
Carola Rackete (foto Ansa)
 Carola Rackete (foto Ansa)

Ma siccome si sapeva che a bordo c’erano decine di persone era stato autorizzato un sopralluogo dei medici per accertare le condizioni sanitarie dei migranti: vista la salute precaria dieci naufraghi erano stati portati a terra da una motovedetta della Capitaneria di porto. Nella stessa serata la Guardia di Finanza aveva inviato una vedetta per notificare il provvedimento interministeriale alla comandante che però non si era mostrata collaborativa. Anzi: aveva rifiutato l’affiancamento dell’unità navale. Ma la notifica era stata effettuata comunque attraverso un pattugliatore veloce che aveva richiesto l’accesso a bordo per un controllo. La Sea Watch non si era mossa da lì.

Carola Rackete (foto archivio L'unione Sarda)
Carola Rackete (foto archivio L'unione Sarda)
Carola Rackete (foto archivio L'unione Sarda)

Nei giorni successivi dall’imbarcazione olandese erano partite alcune mail dirette al Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo della Capitaneria di porto: la comandante rinnovava la richiesta di attracco in un porto italiano. Tra gli allegati c’erano dettagliati report medici sulla situazione sanitaria a bordo. Il 22 giugno erano state avanzate altre richieste di sbarco. Quattro giorni dopo la Sea Watch si era diretta verso il porto di Lampedusa. Sul posto erano state inviate una vedetta e una motovedetta che avevano intimato l’alt e invitato l’imbarcazione a uscire dalle acque territoriali italiane. La nave però era andata avanti invocando lo stato di necessità: a poche miglia dal porto aveva rallentato in attesa di disposizioni sull’ormeggio. I militari della Guardia di Finanza erano saliti a bordo per un controllo e avevano intimato di aspettare disposizioni.  Il giorno giorno successivo era stato sbarcato un altro migrante.

A quel punto la Procura di Agrigento aveva aperto un fascicolo ordinando una perquisizione e il sequestro del diario di bordo relativo ai giorni tra il 9 e il 27 giugno: il tutto era stato portato a termine da sette militari alla presenza dell’avvocato di fiducia della Sea Watch. Ma subito dopo la comandante aveva acceso i motori senza rispettare l’alt delle forze dell’ordine italiane. Per scoraggiare l’attracco la motovedetta delle Fiamme Gialle aveva occupato il posto nel porto di Lampedusa e c’era stata la collisione. Quaranta migranti erano stati sbarcati, Carola Rackete era stata mandata agli arresti domiciliari e la motonave sequestrata.

L’arresto non era stato convalidato dal giudice: la motovedetta non era una nave da guerra e il comportamento della comandante era scriminato dall’obbligo di salvare i naufraghi. Contro questa decisione il pubblico ministero aveva presentato ricorso per Cassazione ma la Suprema Corte aveva respinto l’istanza con le stesse motivazioni con le quali un altro giudice di merito, a distanza di tre anni, ha archiviato tutte le accuse.

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