«Il Clostebol? Sinner innocente come me»
Il difensore del Cagliari José Luis Palomino fa il tifo per il tennistaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Spero che Jannik Sinner venga assolto dall’accusa di doping, perché una percentuale così bassa di Clostebol significa soltanto una cosa: è stato un contagio involontario e impossibile da prevedere. Esattamente come è successo a me».
José Luis Palomino ha 34 anni, è il difensore centrale del Cagliari, è arrivato quest’anno dall’Atalanta e proprio a Bergamo aveva vissuto il momento più buio della sua carriera sportiva: una sospensione per doping. Per anni è stato un argomento tabù, ne parla adesso finalmente con il sorriso – che resta comunque amaro – ai margini dell’intervista rilasciata durante la trasmissione di Radiolina “Il Cagliari in Diretta” ai giornalisti Valentina Caruso, Fabiano Gaggini e Alberto Masu.
«Ripercorrere le tappe di quella vicenda per anni mi ha fatto male. Ero rientrato dal Sud America, le vacanze più lunghe della mia vita, prima in Argentina, poi in Messico, in tutto quaranta giorni. Il lunedì mi presento agli allenamenti, il giorno dopo vengo sottoposto ai controlli antidoping. Ero tranquillo, come sempre in questi casi: mai preso sostanze proibite per migliorare le mie prestazioni sportive. Tutto mi sarei aspettato nella vita tranne che ricevere quella lettera: lei è positivo al Clostebol. Non sapevo neppure cosa fosse, ho subito cercato su internet: un farmaco spray per cicatrizzare le ferite. Io? Ma quando mai? Sono rimasto tranquillissimo, sarà un errore, mi sottoposi con fiducia alle controanalisi. Il risultato arrivò dopo pochi giorni: la concentrazione era passata da 0,6 a 0,2, pochissimo, ma quanto è bastato: sospeso dall’attività agonistica, non potevo neppure andare nel centro sportivo dell’Atalanta, mi cadde il mondo addosso».
Quello che affrontò Palomino è stato un percorso lungo fatto di dubbi, domande, piccole personali indagini per capire cosa poteva essere successo. «Ricordo la mia disperazione. Cosa è successo? Chi può avermi contaminato? Pensai addirittura al ristoratore dove pranzavo tutti i giorni a Bergamo, che dopo il mio ritorno dalle vacanze mi aveva salutato con un abbraccio, eravamo amici. Sono andato da lui e gli ho chiesto: ma ti sei curato con il Clostebol? Un incubo. Sino a quando ebbi l’illuminazione».
Come in un giallo di Georges Simenon, il colpevole contagio era un insospettabile, il compagno di tutta una vita: il cane di Palomino, Lolo. «Il mio bulldog francese per me è come un figlio, vive a casa mia, mangia con me, sta sul divano con me, dorme con me. Durante le mie vacanze in Sud America lo avevo affidato a un dog sitter, al mio rientro a Bergamo la prima cosa che ho fatto è stata andare a riprenderlo. Non potevo sapere che il dog sitter l’aveva portato al veterinario che l’aveva curato per delle piccole escoriazioni con quel farmaco proibito per gli sportivi ma importante per far guarire in fretta le ferite».
Ma da qui a riprendere il suo posto in campo c’è passato altro tempo, perché anche la giustizia sportiva, come quella ordinaria, ha i suoi tempi tecnici, i suoi gradi di giudizio. «L’aspetto che più mi faceva rabbia e immagino che sia lo stesso per Sinner – prosegue Palomino – è che, una volta confermati i dati delle analisi, uno sportivo è considerato colpevole. Punto. Spetta a lui dimostrare la sua innocenza. Io nel mio caso ho vissuto momenti difficili, per me il campo è tutto, ero pronto anche ad ammettere le mie colpe, inesistenti, a patto di poter tornare subito in squadra dopo i primi tre mesi di sospensione che avevo chiesto a giudici di trasformare in squalifica definitiva pur di finire con quella storia. I giudici per fortuna non accettarono e potei dimostrare la mia innocenza: portai i testimoni, le ricette veterinarie, tutto quello in grado di provare la mia totale buona fede».
Palomino restò fuori dal campo per quattro mesi, poi l’assoluzione con formula piena: nessun doping, solo contagio involontario causato dal suo cane. «Tornai ad allenarmi, avevo perso il posto in squadra, il mister Gasperini mi convocò subito la prima domenica, ma rimasi in panchina. L’Atalanta perse, la settimana successiva mi mise in campo al Meazza: ero così frastornato che segnai due gol, uno all’Inter, l’altro nella porta sbagliata», trova adesso la forza di sorridere. Nel frattempo per Palomino era sfumata anche la convocazione al mondiale in Qatar, vinto poi proprio dalla sua Argentina. Da questo punto di vista la situazione di Sinner è diversa: per il tennista italiano, numero uno al mondo, non è scattata la squalifica, ha potuto continuare a giocare in attesa della sentenza definitiva.
«I giudici della Wada sono in genere più comprensivi, valutano anche l’intenzione cioè se uno sportivo voleva davvero doparsi oppure se il contagio è stato assolutamente casuale. Non sono un grande esperto e non conosco benissimo il caso di Sinner, ma sono fiducioso per lui: come poteva sapere che il suo massaggiatore si era curato una ferita con un farmaco vietato? È assolutamente in buonafede, così come lo ero io. Verrà assolto, glielo auguro».