Nei tanti articoli scritti in morte di Luca Serianni, accanto alla sua personale e robustissima trincea in difesa della é accentata in “sé stesso”, nei giorni scorsi molti hanno ricordato anche il piccolo, garbato dettaglio della sua abitudine di affiancare alle correzioni sui testi dei suoi studenti anche le note di elogio. Queste ultime sempre scritte in inchiostro verde.

Un dettaglio cromatico utile a far notare subito la lode del grandissimo linguista, un elemento insolito e tuttavia non un unicum. Sono pochi ma quasi tutti significativi coloro che hanno scritto in verde prima di Serianni o che lo fanno ancora, smarcandosi dalla classicità del nero e del blu. A volte per vezzo, a volte per altre esigenze.

Ad esempio per Pablo Neruda, probabilmente il più celebre fra i verdescriventi, fu una scelta stilistica totale, che connotava appunti, poesie e ogni altro manoscritto. Quanto alle lettere nostrane, la stessa scelta la fece un autore raffinato come Edoardo Sanguineti. Lo sappiamo da una notazione dell’Università di Torino: tra i tanti documenti dell’ateneo digitalizzati e consultabili online c’è anche il fascicolo da studente del poeta, con i piani di studio e il deposito del titolo della tesi di laurea, corredati da un costernato “Gli inchiostri si presentano dilavati a causa dell’alluvione in cui il fascicolo è stato coinvolto nel 2000. Sanguineti usava spesso l’inchiostro verde, che è risultato particolarmente solubile, tanto da rendere del tutto illeggibili alcuni documenti, qui non inclusi”.

Probabilmente però il più noto fra gli italiani amanti dell’inchiostro verde resta Togliatti; forse perché quell’elemento di colore rappresenta l’unica eccentricità nella sua levigatissima e compatta personalità da leader comunista, di indiscutibile spessore intellettuale ma sottratto a qualunque imprevedibilità, a ogni tocco non diremo eretico ma neppure aneddotico.

Massimo Caprara, che fu suo collaboratore per vent’anni e parlamentare comunista finché il partito nel 1969 lo radiò per la sua ostilità all’invasione sovietica della Cecoslovacchia e la sua simpatia per il Manifesto, intitolò appunto “L’inchiostro verde di Togliatti” un memoir sul Pci, il suo leader, i suoi uomini. Da quel libro emerge come Togliatti scegliesse quel particolare colore soprattutto per i testi di argomento culturale, anche se lo storico Paolo Spriano, nel suo “Le passioni di un decennio. 1946-1956”, ricorda che anche le sue lettere a Togliatti ottenevano risposte vergate appunto in verde. Di certo erano scritte in verde le convocazioni nell’ufficio di Togliatti a Botteghe oscure, i temuti bigliettini “Conferire. T.”. Quanto al motivo di questa scelta, è probabile che abbia ragione il blogger Alberto Soave quando ipotizza che quel color prato fosse più riposante per la vista del segretario comunista, che fu sempre debole.

Bizzarramente, le richieste di consultazione scritte in inchiostro verde e siglate con le iniziali erano un elemento caratteristico anche di Tommaso Padoa Schioppa, fra i protagonisti della Bankitalia di Ciampi, direttore generale per l’Economia e la Finanza della Commissione europea e poi ministro dell’Economia nel secondo governo Prodi, liberale keynesiano quanto Togliatti fu comunista. Lo ricorda su lavoce.info un bel pezzo dell’economista Luigi Guiso, che rievoca il momento in cui ogni componente del direttorio della Banca d’Italia rimandava agli estensori le bozze della Relazione annuale con le proprie annotazioni. Quelle di Padoa, appunto, erano le uniche in verde: “Oltre al colore diverso quei commenti avevano altre due caratteristiche: si concludevano con la sua sigla, TPS, che gli è valso il nome – Tipiesse – con cui a lui ci si riferiva dentro la banca; contenevano spesso una richiesta dal tono perentorio -“parlarmene!” – a margine di un paragrafo che lui reputava importante e sul quale richiedeva all’autore un approfondimento. La sigla era quasi pleonastica dato l’uso della penna verde che garantiva l’identificazione perfetta del commentatore, ma siglandoli si prendeva la responsabilità di quei commenti. “Parlarmene!” evocava la relazione gerarchica tra lui e i colleghi/collaboratori, ma al tempo stesso rivelava l’interesse per il lavoro degli altri e il bisogno di conoscere di più di quello che era stato fatto, e questo aveva un forte effetto sulla motivazione delle persone, ci si sentiva utili. Rimane il colore della penna, perché verde? Perché quel tocco anticonformista? Questo mi stupiva un po’ in un uomo con una mente così organizzata, strutturata e lucida, in una persona così dedicata all’ istituzione a cui apparteneva: perché l’identificazione con essa non arrivava fino al colore della penna? Onestamente non lo so e non ho mai osato chiederglielo. Ma credo sia perché TPS distingueva tra identificazione e omologazione. Ha sempre avuto un tratto personale, un guizzo di fantasia, un elemento di distinzione; lo si ritrova nei suoi scritti, nei vocaboli che usava, in quelli che spesso coniava”.

Dall’economia al diritto, è caricata d’inchiostro verde anche la stilografica del procuratore Giancarlo Caselli. Lo sappiamo più che altro da un commento un po’ compiaciuto di Ignazio Marino, che nel 2014, siglando il protocollo d'intesa per la gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, confidò: “Firmo sempre con l'inchiostro verde, lo faccio dal 1992, del resto lo faceva anche Togliatti, e oggi, regolarmente, il giudice Caselli”. E secondo i report delle agenzie di stampa, in effetti l’anno dopo firmò in verde anche le dimissioni, imposte dall’addio in massa di 26 consiglieri comunali anche del “suo” Pd, e stilò in verde perfino il mesto elenco degli oggetti da portar via dal suo ufficio in Campidoglio. Lo sappiamo perché intervenendo alla presentazione del nuovo cda dell’Auditorium, suo ultimo atto da primo cittadino, teneva in mano una lista che non sfuggì agli obiettivi dei fotografi. E quindi sappiamo che per il trasloco Marino non voleva trascurare “scatole eleganti, due foto tes, piccolo mappamondo, scrittoio e cassetti”.

Per concludere, si può annotare che quello di Marino non è l’unico inchiostro verde che ha fatto parlare di sé in ambito comunale. Nel 2016 le cronache locali venete furono colorate da una polemica nel municipio di Azzano, dove il segretario comunale – giù candidato del Carroccio a sindaco di Lorena Pagnucco – aveva fatto indispettire l’opposizione firmando le delibere con uno svolazzo verde Padania. E nello stesso anno a Roasio, nel Vercellese, ci fu il caso del sindaco Ubaldo Gianotti, che pur non essendo neanche lontanamente leghista aveva il vezzo di firmare con inchiostro verde perfino le carte di identità. Smise quando molti concittadini molto seccati gli fecero presente che in diversi Paesi stranieri la cosa era parsa un’anomalia ai funzionari della frontiera, e quella sua civetteria era costata loro ore di attesa in aeroporti turchi, inglesi e tedeschi. Secondo La Stampa furono in trenta a protestare. Poi il sindaco prese a scrivere in nero.

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