Cavour colse la palla al balzo. Aveva già il suo bel daffare nel rintuzzare le ire del clero, della destra reazionaria e persino di re Vittorio Emanuele dopo ch’era stata presentata in parlamento la legge per la soppressione delle corporazioni religiose, ma quella gli sembrò un’occasione irripetibile per far uscire il minuscolo Regno di Sardegna dall’isolamento internazionale e per procurargli uno scranno accanto a quelli delle grandi potenze d’Europa.

Le mire dello zar

L’occasione fu la guerra di Crimea. Combattuta dall’ottobre 1853 al 1856, fu il primo vero scontro fra grandi potenze sul suolo europeo dopo le guerre napoleoniche e quasi 40 anni di relativa stabilità politica così com’era stata definita dagli accordi del Congresso di Vienna. Il conflitto fu dunque un vero e proprio spartiacque dell’Ottocento, e - qui l’intuito di Cavour si era dimostrato vincente - rese oltretutto possibile un’accelerata del processo di unificazione dell’Italia.

Tutto era cominciato quando la Russia dello zar Nicola I - in cerca di uno sbocco sul Mediterraneo - approfittò della controversia tra i religiosi cattolici e ortodossi, che a Gerusalemme si contendevano il controllo del Santo Sepolcro, per chiedere al sultano il riconoscimento del protettorato russo sui dieci milioni di sudditi turchi di fede ortodossa. Al rifiuto di questi, le truppe dello zar occuparono i principati di Moldavia e Valacchia (territori oltre il Danubio, vassalli dell’Impero Ottomano), una mossa che allarmò la Francia di Napoleone III e soprattutto l’Inghilterra della regina Vittoria che intendevano proteggere dall’espansionismo della Russia i loro traffici commerciali epperciò entrarono in guerra al fianco dei turchi. Nicola I, a sua volta, contava sull’appoggio dell’Austria, ma Vienna si dichiarò neutrale (poi in realtà finì per appoggiare l’alleanza anglo-francese) anche perché non voleva distogliere l’attenzione dai possedimenti italiani nel Lombardo-Veneto.

Due milioni di sterline

Non si rivelò una campagna lampo, come all’inizio si credeva, e il lungo, infinito assedio di Sebastopoli, la base principale della flotta russa sul Mar Nero, sfiancò gli eserciti alleati per i quali oltretutto era sempre più difficile ricevere regolarmente i rifornimenti di armi, viveri e soldati. Il nemico più infido ben presto si dimostrò il colera, che decimava le truppe indebolite dalla fame e dalle terribili condizioni igieniche. L’Inghilterra sollecitò il Regno di Sardegna a portare forze fresche alla causa e così, nonostante un’opinione pubblica non interventista, il primo aprile 1855 Cavour - allora capo del governo - riuscì finalmente a inviare in Crimea un contingente di 18mila uomini al comando del generale Alfonso La Marmora. La spedizione era stata finanziata da Londra: un prestito di due milioni di sterline al 3% che Cavour trattò direttamente con la banca Hambro e che il Regno d’Italia finì di pagare nel 1902.

I soldati anche dall’Isola

Le truppe arrivavano soprattutto dalla Savoia e da Aosta, ma c’erano anche soldati e ufficiali partiti dalla Sardegna (come il maggiore Luigi Castelli, originario di Ozieri; e il capitano Gioachino Lostia, di Cagliari), e non a caso nell’Isola le battaglie di Crimea furono per lungo tempo uno dei temi delle poesie cantate dagli improvvisatori. C’è una foto molto suggestiva di Piero Pirari, fotografo nato a Nuoro nel 1889. Databile agli inizi del Novecento, ritrae un gruppo di uomini barbuti in posa. Reduci della Crimea, era l’annotazione. Due indossano l’abito civile, come veniva chiamato allora, gli altri il costume tradizionale. A Fonni l’immagine storica è stata riprodotta in un murale realizzato nel 2009 dall’artista Angelo Pilloni.

La prima guerra moderna

Il re Vittorio Emanuele salutò prima della partenza le truppe radunate al porto di Genova, e al generale La Marmora disse: «Fortunato lei, che va a combattere i russi; a me tocca restare a combattere frati e monache». Il contingente «sardo» (così veniva chiamato dagli inglesi) si distinse al fianco dei francesi nella battaglia della Cernaia, che sancì la sconfitta dell’esercito russo. Un’impresa che impressionò non poco il corrispondente del Times di Londra, William Russell, che sul giornale elogiò soprattutto i bersaglieri. Fu questa una delle novità che fece della guerra di Crimea la prima guerra moderna della Storia: è stato il primo conflitto a essere documentato dalle corrispondenze giornalistiche e fotografiche. Non solo. Per la prima volta vennero utilizzati il telegrafo (ma esclusivamente dai francesi), e moschetti e cannoni di maggiore precisione. Per la prima volta (grazie a Florence Nightingale, la madre dell’assistenza infermieristica moderna) furono allestiti ospedali da campo gestiti da un corpo di infermiere e organizzati secondo rigorosissime regole d’igiene.

Il consenso di Sua Maestà

La guerra finì il primo febbraio 1856. Su quel prezioso lembo di terra d’Oriente erano morti in totale un milione di soldati, per la maggior parte falcidiati non dai cannoni ma dal colera. Alla fine Cavour riuscì nel suo intento, quello di essere invitato alla Conferenza di Parigi, al tavolo della pace. Non cambiò granché, quanto agli equilibri tra le potenze: allo zar Alessandro II (che nel frattempo era succeduto al padre, morto nel marzo 1855) venne imposta la smilitarizzazione del Mar Nero; per il resto dovette solamente cedere all’Impero Ottomano alcuni distretti caucasici e al principato di Moldavia l’area della Bessarabia. Cavour dal canto suo, forte dell’appoggio di Napoleone III, riuscì dunque a parlare della questione italiana (anche se per la verità in quel momento l’Italia che immaginava era ancora tutta nella parte settentrionale) e ad accattivarsi la preziosa simpatia degli inglesi. «Vorrei sostenere i sardi nella conferenza e sotto tutti gli altri rapporti», scrisse in quei giorni alla regina Vittoria Lord Clarendon, il rappresentante della Corona a Parigi.

Non dovette faticare molto, Sua Maestà provava simpatia per Vittorio Emanuele. Qualche mese prima l’aveva ricevuto a Londra, durante una visita organizzata da Cavour, e gli aveva persino conferito l’alta onorificenza dell’Ordine della Giarrettiera. «È un tipo specialissimo - annotò Vittoria in una lettera privata - che fa trasalire con il suo aspetto e il suo modo di fare, sempre spinti all’eccesso». Caratteristiche che, comunque, non le dispiacevano, sicché Lord Clarendon ebbe la risposta che aspettava.

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