Grover Cleveland, il presidente che si è ripreso la Casa Bianca
Donald Trump al secondo mandato non consecutivo: il precedente del democratico ai tempi della Gilded AgePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Mi raccomando, non sposti nulla», disse al maggiordomo. «Quando torneremo voglio trovare tutto come lo sto lasciando». Era il 4 marzo 1889 e l’ormai ex first lady Frances “Frank” Folson Cleveland lasciava la Casa Bianca al braccio del marito, sconfitto per un soffio alle elezioni del novembre 1888 dopo un solo mandato. Se la prima dama più giovane della storia americana avesse particolari doti di preveggenza non è dato sapere; certo è che la profezia s’avverò, e quattro anni dopo, nel 1893, Grover Cleveland fu rieletto, primo - e fino a oggi unico - presidente per due mandati non consecutivi.
Donald Trump, rieletto dopo aver saltato un turno per la vittoria di Joe Biden nel 2020, ha fatto lo stesso. Tuttavia le coincidenze tra i due personaggi si fermano qui perché tanto il tycoon è spregiudicato - l’unico presidente con una condanna e con un paio di processi in corso -, tanto Cleveland era un uomo di legge, con l’ossessione per i conti pubblici e un rigore che l’aveva reso inviso a molti.
Quella era l’America della Gilded Age, l’età dorata raccontata dalla penna acuta di Mark Twain, l’epoca dell’ascesa della nuova borghesia e della nascita di capitani d’industria – da JP Morgan a Cornelius Vanderbilt, da John D. Rochefeller a Andrew Carnegie - che si arricchirono col monopolio dei trasporti, dell’acciaio, del petrolio. Era l’America che si lasciava alle spalle l’epoca della Guerra civile e andava incontro alla modernità. L’era del passaggio da un’economia rurale a una prepotentemente industriale che nel 1900 trasformerà gli Usa nella prima potenza mondiale.
È in quest’epoca di grandi fermenti, ma anche di corruzione e clientelismo, che Grover Cleveland fu candidato dal Partito Democratico alle presidenziali del 1884. Allora aveva 47 anni (era nato nel 1837 a pochi chilometri da New York, quinto dei nove figli di un pastore presbiteriano), una stazza imponente di 130 chili, un anno di esperienza da sindaco di Buffalo (la cittadina dove aveva esercitato come avvocato ed era stato sceriffo) e ventiquattro mesi da governatore dello Stato di New York. Si era fatto una fama di rigoroso uomo di legge e delle istituzioni, tutta un’altra pasta rispetto al candidato dei repubblicani, quel James G. Blaine, senatore del Maine e già segretario di Stato durante la brevissima presidenza Garfield, che era inviso al gruppo riformista del suo partito, i mugwumps, per via della fama di corrotto. Anni prima, infatti, Blaine era finito nel bel mezzo di uno scandalo (aveva intascato tangenti dall’industria ferroviaria) scoppiato dopo la diffusione delle “lettere di Mulligan”, dal nome del contabile che scoprì le missive-prova della corruzione.
Accuse mai smentite e che adesso riemergevano, un polverone tale che i repubblicani pensarono di poterne uscire in una maniera soltanto, e perciò sguinzagliarono i migliori segugi del partito per passare al setaccio la vita dell’avversario democratico.
Fu così che, a quattro mesi dalle elezioni, i giornali raccontarono che Grover Cleveland aveva un figlio segreto, un bambino avuto anni prima da una vedova di Buffalo, tale Maria Halpin. Si raccontava che avesse riconosciuto il piccolo e, chiesta udienza a un giudice, avesse fatto rinchiudere la donna in manicomio e ricoverare il bambino in orfanotrofio. Lo staff del candidato democratico era pronto a soffocare lo scandalo in tutti i modi, ma Cleveland avvisò che l’unica strada da seguire era la verità. Ammise di aver avuto una relazione con la donna, e disse di aver protetto il bimbo in un orfanotrofio perché la madre era un’alcolista. Una verità forse aggiustata, ma tanto bastò ai suoi sostenitori per riconfermargli la fiducia; mentre, sull’altro fronte, i repubblicani si dicevano sicuri di aver inferto un duro colpo all’avversario assicurandosi l’enorme bacino del voto dei cattolici, gente benpensante che non poteva tollerare l’idea di un presidente con un figlio nato fuori dal matrimonio.
Peccato però che durante un incontro elettorale a New York, un sostenitore repubblicano - tale reverendo Samuel Burchard – descrisse i democratici come «il partito del rum, del romanesimo e della secessione». Parole (dalle quali Blaine non si era dissociato) che fecero infuriare i cattolici irlandesi della città, i quali si vendicarono dell’offesa dirottando le loro preferenze sul candidato democratico. Le elezioni generali furono determinate dai voti dello Stato di New York, che Blaine perse per meno di 1.200 preferenze.
Già durante il primo mandato (4 marzo 1885 – 4 marzo 1889), Grover Cleveland si guadagnò il soprannome di “Veto President”. Era il cane da guardia del Congresso, poiché di fatto rafforzava il potere esecutivo della Casa Bianca. Durante i suoi mandati presidenziali, infatti, oppose 584 veti su proposte di legge, di cui 414 nel primo mandato e 170 nel secondo. Aveva un’unica, grande ossessione: contenere la spesa federale; tanto che nel 1887 arrivò a respingere una legge per gli aiuti economici agli agricoltori del Texas colpito dalle inondazioni. Se in politica estera restò sempre fedele al più rigido isolazionismo, in materia economica impostò una politica di stampo liberista riducendo i dazi doganali e facendo calare il debito pubblico.
Sconfitto dal repubblicano Benjamin Harrison alle elezioni del 1888, Grover Cleveland ottenne il secondo mandato quattro anni più tardi vincendo con un ampio margine, sia nel voto popolare sia per numero di grandi elettori. Gli anni che l’attendevano alla Casa Bianca (1893-1897) furono tra i più duri della storia americana. Anni segnati dalla crisi finanziaria più grave del secolo, passata alla storia come “il panico del 1893”, e dall’aumento della disoccupazione che portò a un’ondata di scioperi in tutto il Paese. Fu soprattutto nella gestione di questo malessere sociale che il presidente Grover Cleveland, ostinatamente conservatore, non si dimostrò all’altezza dei tempi. La sua popolarità colò a picco quando nel maggio 1894 ordinò alle truppe federali di reprimere lo sciopero di 150mila operai delle linee ferroviarie.
Lasciata la Casa Bianca, trovò un posto nel consiglio di amministrazione dell’Università di Princeton, sempre al lavoro, fino alla morte avvenuta nel 1908, all’età di 71 anni, per un attacco di cuore. Accanto a lui c’era la moglie Frances, allora 44enne, che di lì a un lustro sarebbe diventata la prima vedova di un presidente degli Stati Uniti a risposarsi (nel 1913 sposò Thomas J. Preston, professore di archeologia dell’Università di Princeton). Era già stata la più giovane First lady, record ancor oggi insuperato. Aveva sposato Grover Cleveland il 2 giugno 1886, con una cerimonia alla Casa Bianca. Primo e unico matrimonio di un presidente in carica. Lui aveva 49 anni, lei ventuno.