Gli stupratori della porta accanto
Gisèle Pelicot ha rinunciato alla privacy e invitato le vittime a non vergognarsiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
La Francia e il mondo intero celebrano Gisèle Pelicot, la donna che per almeno dieci anni è stata stuprata, mentre giaceva incosciente, da decine di sconosciuti assoldati su internet dal marito, Dominique Pelicot, il quale filmava poi gli incontri, li catalogava e li conservava.
Viene celebrata la forza di questa settantaduenne, la quale per caso ha scoperto che il coniuge, con cui stava da una vita e con cui aveva avuto tre figli, la drogava e poi la faceva abusare da estranei contattati su un sito internet: quando l’orrore le è stato mostrato dalla polizia, che aveva ritrovato i filmati degli stupri, lei non si è nascosta, ma ha voluto che il processo fosse dibattuto a porte aperte e, di fronte all’indicibile, ha detto che non era lei a doversi vergognare, bensì gli uomini che avevano approfittato del suo corpo inerte e inerme. Ha voluto rendere pubbliche le violenze per aiutare le altre donne vittime di abusi, che spesso rimangono nell’ombra, visto che in Francia l’86% delle accuse per violenza sessuale non vengono perseguite per inefficienza dell’apparato giudiziario o per mancanza di prove.
Sono cinquanta gli uomini che hanno sfilato di fronte al giudice del tribunale di Avignone e che hanno provato a negare gli stupri, ma almeno altri trenta, presenti nei video, non sono mai stati identificati.
Gisèle Pelicot ha parlato di «banalità dello stupro»: infatti i cinquanta uomini, che sono stati condannati a pene che vanno dai due ai quindici anni, sono uomini comuni, che fanno comuni mestieri, come il fattorino, il commesso, il falegname, il pompiere, il piastrellista, l’idraulico, il camionista, il panettiere, il giornalista e così via. Uomini di tutte le età ed estrazioni sociali: uomini della porta accanto, è stato detto, che possono essere i nostri vicini di casa e che si sono trasformati in stupratori.
Alcuni si sono difesi dicendo che pensavano la vittima fosse consenziente; altri hanno detto che il consenso del marito a loro bastava. Molti hanno pianto in tribunale, sconvolti, più che da ciò che avevano commesso, dallo scoprire che è necessario il consenso dell’altro partecipante all’amplesso, altrimenti è stupro. Sembra un concetto semplice, ma a molti bastava il consenso del marito, come hanno dichiarato.
Gisèle, novella Pandora, ha scoperchiato non un vaso, ma una cloaca che ha rivelato come la cultura dello stupro permei una società in cui ancora le donne sono troppo spesso considerate oggetti, di cui disporre a piacimento. Michela Murgia, nel suo libro “Stai zitta”, denunciava come le donne fossero educate da secoli a subire: «davanti ad ogni comportamento molesto ci intimano di essere superiori, sorridere, abbozzare e non opporre nessuna resistenza, perché tanto è una battaglia persa». Gisèle Pelicot, con la sua partecipazione a testa alta a tutte le fasi del processo, con la rinuncia alla sua privacy e con l’invito, lanciato alle vittime, a non vergognarsi, ha deciso che no, le donne non possono abbassare ancora la testa. E ha affermato: «Per me questo processo è il processo alla vigliaccheria. È ora che la società maschilista e patriarcale, che banalizza lo stupro, cambi». Gisèle Pelicot ha fatto della sua violenza privata un atto pubblico, sperando di regalare un futuro migliore ai suoi nipoti e alla collettività «in cui tutti, donne e uomini, possano vivere in armonia, con rispetto e comprensione reciproca».