«Ne sono sicura», confidava lei, «i giovani porteranno avanti la tradizione». Il tempo le ha dato ragione, oggi a Orotelli anche i bambini indossano con orgoglio il pastrano d’orbace e la bandoliera di campanacci. La signora che ha riportato in vita i Thurpos, le antiche maschere di Orotelli, ne aveva fatto un motivo d’orgoglio dopo che, per tanti anni, intenta nelle sue ricerche, s’era sentita dire dai più: «Fai attenzione, guarda che qui ti prendono per matta».

I Thurpos di Orotelli
I Thurpos di Orotelli
I Thurpos di Orotelli (Unione Sarda)

Si era negli anni Settanta, e lei, che allora insegnava al doposcuola, come Mary Poppins se ne andava in giro per il paese con tutta la carovana dei suoi alunni armati di registratore e quaderno. «È un rito propiziatorio, possibile che nessuno lo veda?...», ripeteva, e intanto, durante le lunghe interviste ai vecchi raccoglieva ricordi, dettagli di memoria, particolari inediti. Mesi di lavoro e di pazienza, ma arrivò finalmente il giorno in cui - nel 1979, dopo trent’anni di silenzio - a Orotelli risuonarono i campanacci e i muggiti della maschera tradizionale del paese.

Giovannina Pala Sirca era la mamma dei Thurpos. Originaria di Orune, scomparsa nel 2022 a 87 anni, si era appassionata alla storia e alle tradizioni di Orotelli, il paese dove ha costruito la sua vita e la sua famiglia. Aveva una passione per l’etnografia («Ma non sono un etnografo», si schermiva) e un talento per la riesumazione delle tradizioni ormai andate. Con i suoi bambini della scuola a tempo pieno (fu lei a organizzare i corsi a Orotelli, con un programma su storia e cultura locale che le valse l’attestato di benemerenza del Ministero) ha così riscoperto le chiese dimenticate e la sede dell’antico tribunale; ha raccolto in un libro tutte le orazioni un tempo recitate dalle donne. E soprattutto ha riportato il Carnevale in un paese dove non si festeggiava più.

«È cominciato tutto con una delle orazioni che io e i miei alunni della scuola a tempo pieno avevamo registrato», raccontava. «Le donne ne recitavano una per ogni gesto e per ogni situazione: quando si usciva di casa, quando si tornava, quando si faceva il pane, quando si invocava la pioggia. Mi incuriosì proprio quest’ultima preghiera, affidata ai bambini che dopo un lungo periodo di siccità sfilavano in strada con le croci di pervica. L’orazione cominciava con “Dadenos s’abba Segnore e finiva ...Maimone laudadu”. Cos’è questo Maimone? Mi sono chiesta. Era il dio della pioggia, ci sono arrivata poi. Quella, come tante altre, era una preghiera pagana innestata su una supplica cristiana. In Barbagia resistevano e, per certi versi, resistono ancora tutte le stratificazioni pagane, precristiane e cattoliche nel rapporto con il sacro».

Il dio della pioggia? Una preghiera pagana? L’illuminazione arrivò il giorno in cui, durante una chiacchierata con il servo pastore del marito, venne a sapere questa storia dei Thurpos. «Non li avevo mai visti. Così gli chiesi: e come erano, compare Piro’?». Il compare le spiegò che l’ultima sfilata l’avevano fatta nel 1955, l’anno in cui molti giovani lasciarono il paese per cercare lavoro in Continente e in Belgio. Raccontava Giovannina: «Compare mi spiegò che uscivano a gruppi di tre, mascherati col gabbano d’orbace, i campanacci, le funi, il viso tinto di nero. I due davanti rappresentavano il giogo dei buoi, e come i buoi muggivano e avevano il passo lento. L’uomo che stava dietro, con un pungolo in mano, doveva rappresentare il contadino che seminava il grano... Eccolo il rito propiziatorio. È lì che ho capito che i Thurpos erano maschere antichissime e avevano un’origine pagana. Mimavano la semina e scacciavano le anime cattive».

Se all’inizio la signora veniva sostenuta solo dai suoi alunni, ben presto trovò l’appoggio del parroco, degli anziani che confermarono le sue ricostruzioni, dei giovani che volevano conoscere la maschera. Un movimento che ben presto portò alla nascita dell’associazione folcloristica Salvatore Cambosu, presidente Giovannina Pala Sirca. «È un’etnologa nata», le disse un giorno lo studioso Raffaello Marchi che scoprì i Thurpos proprio grazie a lei, mentre Fiorenzo Serra le spediva lettere di complimenti. Arrivò persino la proposta sconcia di un accademico che le offrì un sacco di soldi per cercare di comprare il merito della riscoperta.

L’accademico riuscì a portarsi via solo una risposta sdegnata e intanto a Orotelli, nel salone parrocchiale, tutte le sere i vecchi insegnavano ai ragazzi il passo lento delle maschere, e come far risuonare i campanacci, e la danza dei buoi e del contadino. Sei mesi di prove, poi la prima uscita in paese. «Fu un successo strepitoso, e così qualche giorno dopo a Sassari», raccontava la maestra-etnografa. «I nostri ragazzi incedevano lenti, al suono dei campanacci...Un’emozione indimenticabile». La mamma dei Thurpos diceva che la maschera di Orotelli non ha nulla da invidiare ai Mamuthones di Mamoiada. «È altrettanto affascinante. Purtroppo, però, qui in paese c’è stato questo lungo periodo di oblio. Ma i giovani, ne sono sicura, faranno di tutto per portare avanti la tradizione». Il tempo, appunto, le ha dato ragione.

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