La sirena che suona, le urla disperate che arrivano, invano, dalle più profonde viscere della terra, il sogno di una vita migliore che sprofonda tra la polvere più nera. Non ci fu solo Marcinelle: l'ultima cupa giornata di febbraio e la prima settimana di marzo di 81 anni fa, furono teatro, in Istria, di quella che può essere considerata la più grave tragedia mineraria d'Europa che contò ben 187 vittime.

Lo scorso anno si sarebbe dovuto commemorare l'ottantesino anniversario della tragedia di Arsia ma la pandemia ha fermato tutto. Quest'anno l'emergenza Covid non è ancora finita e le celebrazioni solenni dovranno attendere ancora. Ma il cuore di tanti minatori anziani del Sulcis, quando hanno strappato dal calendario il foglio di febbraio, è corso anche quest'anno a quella terribile indimenticata mattina in cui la miniera di Arsia, considerata all'epoca la più importante risorsa energetica italiana, divenne la tomba di tanti "fratelli" lontani.

I giornali dell'epoca raccontano che, alle 4 del mattino di quell'ultima tragica giornata di febbraio, si verificò un "violento scoppio" che provocò la morte di tanti lavoratori locali ma anche sardi, per lo più arrivati dal Sulcis e poi tanti emiliani, toscani, veneti, lombardi e romagnoli. Ben 187 persone morte in un luogo di confine e forse per questo non considerate figlie d'Italia e nemmeno della Jugoslavia.

Era rigorosamente vietatodare risalto a qualsiasi incidente avvenuto dove il regime fascista aveva interessi e, infatti, la stampa fascista censurò la notizia. Ma non è tutto: quando dal 1945, dopo la guerra, lavorarono nella miniera i prigionieri italiani condannati dal regime jugoslavo di Tito ai lavori forzati, anche la stampa jugoslava non accenno una sola volta al ricordo di quella tragedia. Tante morti condannate all'oblio.

Dopo la prima guerra mondiale le miniere di Albona in Istria e e nella Slovenia centrale, erano diventate italiane e quando iniziò il periodo dell'autarchia il Governo italiano aveva deciso di potenziare la produzione mineraria. Fu allora che nacque l'Acai, l'Azienda Carboni Italiani, fu allora che la storia del Sulcis, si legò a quella di Arsa (poi Arsia). La cittadina fu costruita in un anno e mezzo, progettata dagli stessi architetti e ingegneri che erano stati chiamati a immaginare e disegnare la nuova città sarda di Carbonia.

Arsa fu inaugurata il 4 novembre 1937, Carbonia il 18 dicembre 1938. Due città lontane, una storia comune, molto spesso tragica.

Un articolo del 1940 su L'Unione Sarda
Un articolo del 1940 su L'Unione Sarda
Un articolo del 1940 su L'Unione Sarda

Ma solo in tempi relativamente recenti è stato possibile conoscere i tanti fatti nascosti prima dai fascisti e poi dagli jugoslavi che accompagnarono le vite di centinaia di minatori.

In Sardegna quel terribile incidente portò alla disperazione decine di famiglie di minatori del Sulcis ma nessuno trovò, proprio per via della censura, informazioni approfondite sull'accaduto.

La notizia trovò spazio su L'Unione Sarda, il 29 febbraio 1940, con un piccolo taglio in prima pagina ma senza particolare risalto. Erano passate appena 24 ore da quella tremenda esplosione e il giornale riportava la notizia di 60 vittime. "L'esplosione, le cui cause non sono ancora state precisate - scriveva il giornale - si è verificata nel settore tra il 150° e il 160° livello a 280 metri di profondità ed ha investito alcune centinaia di operai che lavorano nel cantiere N.31". L'articolo parla di tanti feriti lievi, edulcorando la situazione e vantando il fatto che "La popolazione dei minatori mantiene una calma esemplare, dando prova d virile senso di consapevolezza". Nessun accenno al dolore, alla disperazione, al dramma dei minatori che cercarono disperatamente di salvare i compagni inghiottiti dalla miniera. Siamo nel pieno del sogno autarchico e infatti l'articolo, più che soffermarsi sulla tragedia, ribadisce che "il Sulcis e l'Arsa costituiscono una sola trincea nella quale si combatte la più dura battaglia per affrancare la Patria dalla più pesante schiavitù straniera" Il giorno successivo, 1 Marzo 1940, sempre in prima pagina, si tornava sull'argomento per raccontare che in quella miniera, tanto lontana dall'Isola, tutto era "tornato alla normalità": ma quel giorno i morti erano già diventati 86 e la triste conta era destinata a durare lunghe settimane.

L'Italia pianse in tutto 137 vittime. Secondo Mauro Pistis, avvocato di Carbonia, appassionato studioso di questa terribile storia e di tutta l'epopea mineraria di quegli anni, i minatori di origine sarda, sulcitana nello specifico, che persero la vita furono 53. Il racconto di chi ha vissuto quei fatti è tragico e la fine di tanti minatori sopravvissuti deve ancora essere raccontata ai più. Coloro che furono considerati colpevoli di quell'esplosione mortale, morirono poco prima della fine del 1943, gettati nelle foibe disseminate in territorio di Albona. Ben 72 italiani furono gettati nella foiba di Vines, detta "dei colombi", dopo l'8 settembre 1943, tra questi una ventina erano dipendenti della Società anonima carbonifera Arsa appartenente all'Acai. Alcuni erano di Carbonia ma la loro storia resta ancora in buona parte ignota e nessuno nel Sulcis, nemmeno quest'anno, in occasione della Giornata del ricordo delle foibe, ne ha commemorato la scomparsa.
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