È il professionista del filo d’erba, il medico del manto verde. L’esperto del green che deve conoscere alla perfezione metodi e strategie per evitare anche il minimo malessere del campo di battaglia sportiva. Solo così infatti può tutelare caviglie, articolazioni e fibre muscolari, ma non solo, che in molti casi valgono spettacolo, gol, vittorie e milioni di euro. Si chiama groundsman e a lui è affidata la salute dell’erba negli impianti sportivi.

Considerata da molti una delle professioni del futuro, il ruolo del groundsman sta prendendo piede in questi anni, anche se ancora poco conosciuto in Italia (pressoché ignorato in Sardegna), ma già presente in molti stadi esteri dove la professione è riconosciuta ufficialmente. E che il settore però sia vitale e scalpitante anche in Italia lo dimostra l’intensa attività portata avanti dagli esperti che si occupano della manutenzione del prato sui campi sportivi. Hanno fondato una loro associazione la Grassmed (Groundsman asssociation mediterraneo), che ha avviato un progetto di formazione specifica per i tecnici che si occupano dei tappeti erbosi sportivi.

Fabio Fognini (foto archivio L'Unione Sarda)
Fabio Fognini (foto archivio L'Unione Sarda)
Fabio Fognini (foto archivio L'Unione Sarda)

IL PROGETTO A Bologna, in occasione della 44 esima edizione di Eima, l’esposizione internazionale della macchine per l’agricoltura e il giardinaggio che si è tenuta dal 19 al 23 ottobre scorso, l’associazione Grassmed ha illustrato un progetto di formazione per chi deve curare il verde degli impianti sportivi. Una base di partenza, almeno negli obiettivi della Grassmed, per arrivare al riconoscimento della figura professionale, al pari di quello che accade all’estero da anni. A illustrare l’iniziativa nel corso del convegno dedicato alla cura del verde sportivo, Francesco Dotto, presidente nazionale dell’associazione dei groundsman.

«Questo progetto – ha detto - ha preso vita anche grazie alla collaborazione con associazioni e professionisti che hanno condiviso questa visione e che porterà anche in Italia quella sensibilità per la cura dei campi sportivi che ancora manca, a differenza di altri Paesi europei dove il groundsman è una figura ormai consolidata». Si parte da una nuova impostazione giuridica definita con il contributo di esperti e specialisti del settore.

All’incontro era presente anche il presidente della Lega Imprese Sportive, Giuseppe Calò, spiega una nota di Eima «il quale ha sottolineato come si debba prima stimolare una sensibilità verso l’inquadramento giuridico delle attività sportive, per dare dignità alle figure professionali che vi sono impegnate a vario titolo. Quella del groundsman è comunque una delle più qualificate, essendo un ruolo che concentra competenze diverse tra loro, che sono in buona parte legate alle tecniche agrarie».

Fondamentali per la formazione del professionista del green saranno le conoscenze agronomiche e ambientali come ha rilevato Mauro Sarno, docente di Agraria all’università di Palermo: chi ha cura del verde sportivo deve anche tenere conto degli ecosistemi che si vengono a creare nei campi di gioco e di allenamento. Ed è per questo che bisogna adattare trattamenti e colture a seconda delle variabili peculiari di ciascuna situazione.

LE CONOSCENZE Il groundsman, quindi, deve tenere conto delle varie sfaccettature legate alla semina, alla coltivazione, all’irrigazione, alla natura e alla resa dei terreni. Unendo, ha precisato a sua volta Dotto, l’esperienza alla formazione. «Il prossimo step del progetto sarà il riconoscimento regionale dei corsi di formazione», ha fatto sapere Chiara Raimondo, dell’agenzia formativa Setter di Alpignano, in provincia di Torino «che è un passaggio d’obbligo per la formazione professionale. Questo riconoscimento rientrerebbe nell’area di altre figure dedicate alla cura del verde, tra le quali quella del manutentore del verde, che si può esercitare ormai solo se in possesso di una idoneità regionale». Il percorso formativo, ha continuato Raimondo, comprende anche la cultura della prevenzione dei rischi connessi alle attività lavorative e alle conseguenze di un’errata preparazione del verde sportivo.  A conclusione dell’incontro, l’interessante testimonianza di uno dei pochi groundsman italiani riconosciuti all’estero, Gianni Casini, responsabile del verde nello stadio di Nizza. Raccontando la propria esperienza, Casini ha spiegato quanto sia importante avere un confronto continuo con i dirigenti sportivi, gli allenatori, i giocatori, i medici e perfino i massaggiatori.

Il green di un impianto di golf. Foto archivio\u00A0L'Unione Sarda
Il green di un impianto di golf. Foto archivio\u00A0L'Unione Sarda
Il green di un impianto di golf. Foto archivio L'Unione Sarda

L’IRRIGAZIONE E sempre in tema di conoscenze approfondite che si chiedono al groundsman, il documento dell’Eima evidenza l’aspetto dell’irrigazione. Lino Piva, responsabile tecnico della formazione della Toro Irrigazione, a Bologna ha illustrato l’importanza del diversi sistemi di irrigazione: «Se mettessimo in un campo sportivo l’impianto di irrigazione di un giardino rischieremmo di mandare in ospedale qualche giocatore». Piva ha fatto vedere come gli erogatori che vanno bene per un qualsiasi giardino, potrebbero rompere un ginocchio a un calciatore che scivola mentre cerca di raggiungere il pallone. «È per questo che in un campo sportivo, non solo di calcio, gli erogatori che vengono messi nel terreno, oltre a essere interrati, devono anche essere ricoperti di plastica morbida». Ancora: «Ma i rischi per uno sportivo vengono anche da una errata distribuzione dell’acqua. Se in un punto del campo arriva un eccesso d’acqua, il terreno rischia di diventare fangoso e di provocare cadute agli atleti in piena azione. Allo stesso modo, un terreno secco, costituisce un rischio di distorsione per chi, per esempio, prova a fare una torsione con il piede: la scarpetta potrebbe piantarsi sul terreno troppo asciutto mettendo a rischio i legamenti».

Dunque massima cura e attenzione per l’impianto di irrigazione in modo da fare arrivare l’acqua in modo uniforme su tutto il terreno di gioco, ma anche conoscenze climatiche, meteorologiche e di esposizione. «Gli impiantisti devono tenere conto anche del fatto che le condizioni climatiche non sono uniformi», spiegano ancora dall’Eima. «E, quindi, l’irrigazione deve compensare queste differenze. Se, per esempio, un campo di calcio rimane in ombra solo parzialmente, è necessario che in quella parte arrivi meno acqua della porzione sulla quale il sole batte più a lungo. Per ottenere questi risultati, gli impianti specializzati sono ormai digitali e programmabili. E a occuparsene - conclude - è una figura specializzata, il groundsman, appunto, o anche green keeper, che a sua volta si basa su un progetto studiato appositamente per ogni impianto sportivo da un agronomo, anch’egli specializzato».

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