Inventarsi un criterio per disporre i propri libri sugli scaffali può essere una sfida appassionante, metterlo in pratica a volte è un passatempo impegnativo.

È rispettarlo, quell’ordine, che spesso si rivela una fatica desolante.

Anche perché una biblioteca (parliamo di quelle private, domestiche: quelle aperte al pubblico sono tutto un altro discorso) è un essere vivente che nel tempo si sviluppa imprevedibilmente fra acquisti, regali ricevuti e non necessariamente azzeccati, libri che arrivano per questioni di lavoro e altri consegnati a tradimento dall’autore, che pretende più o meno amichevolmente un parere. E poi ogni tanto, ma più raramente, queste creature nate per accumulo si smagriscono (smarrimenti, rarissimi furti, soprattutto il cupo fenomeno dei libri dati in prestito e mai più tornati a casa, sui quali varrà la pena di scrivere a parte).

C’è chi riesce a gestirla, questa presenza ora amichevole e ora indisciplinata che ti cresce in casa e finisce per descrivere una tua biografia attraverso le passioni, gli interessi, le curiosità o anche solo le ambizioni di lettura che i titoli indicano. C’è chi ci riesce e c’è chi ci prova e poi rinuncia. Che dobbiate dare un ritmo ai vostri scaffali, oppure ridarglielo, o che abbiate semplicemente curiosità su come gli altri portano al pascolo il proprio gregge di carta e di inchiostro, quelle che seguono sono le esperienze da bibliotecari domestici di cinque persone che per diversi motivi – perché li scrivono o li studiano, perché li pubblicano o li vendono, in generale perché li amano – hanno a che fare con i libri. Per campanilismo di testata la prima a parlare è Maria Francesca Chiappe, a lungo firma dell’Unione Sarda oltre che scrittrice e, dall’anno scorso, assessora alla cultura del Comune di Cagliari.

Il suo è un criterio personalissimo e, come tutto ciò che ci interpella in profondità, funziona bene. A patto di avere abbastanza spazio: se la Gallia di Cesare era divisa in tre parti, la biblioteca dell’assessora si articola in nove. In una libreria trovano posto «i libri di formazione, quelli che ho letto da ragazza. In un’altra ci sono gli autori sardi e in un’altra ancora metto gli autori di cui sono una consumatrice seriale: Manzini, Giménez Bartlett, Camilleri, Simenon. Da un’altra parte invece ci sono quelli che mi sono stati regalati da persone a cui tengo». In un altro spazio ancora ci sono quelli firmati da lei, che sono quindici titoli e quindi un loro spazio lo occupano. Restano le ultime quattro categorie. Due trovano alloggio nello studio: «I libri di storia sarda e quelli fotografici». E poi ci sono i sommersi (quasi) e i salvati (forse): «Nella libreria dell’andito metto quelli che mi hanno convinto di meno. In camera da letto, sui comodini e sul comò, quelli da leggere».

Anche Luciana Uda i libri sa tenerli in riga. Lo fa per professione, come socia della libreria EmmePi di Macomer, e lo fa in casa in base a un criterio apparentemente molto semplice, che in realtà apre la strada a una serie di bivi e sottopartizioni. Quindi da una parte la saggistica e dall’altra la narrativa. Solo che i libri di narrativa poi si dividono in due grandi aree: quelli scritti da donne e quelli che invece no. Questi ultimi poi vengono disposti sugli scaffali in base alla lingua dell’autore, ma ci sono tre categorie che hanno comunque una sistemazione a parte: i classici, i libri scritti da autori sardi e quelli per ragazzi, che tendono a mescolarsi con quelli fantasy. Quanto ai saggi, «li divido per argomento, ma è vero che gli spazi sono stretti e capita che si confondano, si mescolino, perciò succede di pescare un autore da uno scaffale e domandargli: scusi, ma lei che ci fa qui?». Infine due categorie extra. La prima si trova in molte librerie ed è quella dei volumi fotografici, che soprattutto per questione di altezza e di mole si candidano naturalmente a scaffali o spazi tutti loro. La seconda invece è abbastanza peculiare: «A casa ho un pianoforte: non lo suono ma sopra ci tengo i libri di Iperborea che mi piace tenere tutti insieme, così eleganti per il formato e i colori delle copertine. E mi sa che se non ho tutti quelli che hanno pubblicato, poco ci manca».

Giuseppe Podda, editore del Maestrale, è di vedute più ampie e rilassate: «Diciamo che li sistemo per macroaree: più che altro saggistica e narrativa. Arte e fotografia sono a parte, anche per via delle dimensioni dei volumi». Detto questo, nessuno spazio a sottocategorie troppo stringenti: «Mi piace cercarli visivamente. Quindi niente ordine alfabetico né raggruppamenti per editore, neppure quando sono pubblicati da noi». Certo, quando poi lascia andare lo sguardo sugli scaffali «in effetti la collana nera del Maestrale rispetto ad altre è più facile da individuare».

Marcello Fois, romanziere e poeta, quando parla dei suoi libri ha il tono stanco di un preside degli anni della contestazione giovanile. Animato da intenzioni rigorose, ha dovuto prendere atto dell’anarchia imperante: «Ormai sono disposti in base a un criterio auto-ordinante. Abbiamo tentato di allinearli per editori e poi per ordine alfabetico, ma si spostano. Vogliono stare con chi pare a loro. Faulkner, per esempio, non ha nessuna intenzione di stare nello stesso scaffale di Follett. E quindi si sposta. Ma d’altronde sotto la effe c’è Freud, c’è Fenoglio, tutti caratteri piuttosto decisi. E stiamo parlando di uno scaffale che mi sta particolarmente a cuore, visto che ci sono io stesso. Però devo ammettere che anche i miei libri tendono ad andare dove vogliono».

Un’ulteriore e più profonda sfumatura di rassegnazione risuona nelle parole di Gigliola Sulis, saggista e docente di letteratura italiana all’università di Leeds. «Mission impossible», sospira prima di raccontare quella che sembra più una diaspora che una biblioteca, con volumi divisi fra le case di Cagliari (la sua e quella paterna), quella di Leeds e l’ufficio. «Ogni tanto provo molto ambiziosamente a ordinarli, avevo anche cominciato a catalogarli in un foglio excel, ma sono tentativi che poi falliscono clamorosamente. Riesco giusto a tenere separati dagli altri quelli che sto studiando in quel momento, ma poi ne arrivano altri e poi altri ancora finché tutto diventa un blob e alzo bandiera bianca. Certo, ci sarebbe il Kindle, perfetto per chi è ubiquo ai casi della vita, direbbe Gadda: lì i libri non occupano spazio e li hai sempre a portata di mano ovunque vada. Soltanto che poi lo perdo in aeroporto».

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