Ha già perso il primato delle classifiche mondiali, ora cominciano ad abbandonarlo gli sponsor e pure il suo storico allenatore che lo ha guidato per oltre dieci anni ha deciso di lasciarlo. Novak Djokovic (o Djokovid, come lo hanno ribattezzato i suoi detrattori per la sua campagna no vax) è ormai come un pugile alle corde, sorretto solo dalla famiglia che lo segue neanche fosse un profeta. Il serbo è con le spalle al muro: alcune settimane fa, dopo la sconfitta a Dubai, ha perso il trono del tennis (Medvedev è il nuovo numero uno al mondo), ora lo ha lasciato anche il coach che lo ha portato al successo, Marian Vajda. Poi anche Peugeot, che si era legata a lui dal 2014, ha detto ciao. Il tutto dopo il caos dell’Australian Open (il visto d’ingresso ritirato, la causa in tribunale, l’espulsione), che lo ha evidentemente provato.

Per quanto riguarda il suo allenatore, difficile conoscere i motivi di una separazione che, per forza di cose, intacca profondamente le certezze del serbo. Da sempre legato nei suoi successi al coach con la faccia simpatica nascosto nel suo angolo, Vajda non lo seguiva più in ogni torneo (non era a Melbourne e neanche a Dubai), anche per l’età, 57 anni e per stare di più con la famiglia, ma l’arrivederci immediato è stato per il circuito una sorpresa. Nel team del serbo resta dunque Goran Ivanisevic, ora unico allenatore.

In un sol colpo l’uomo dei record da 20 slam (superato da Nadal proprio agli Australian open con 21 titoli) perde anche Peugeot, il marchio che lo affiancava da otto anni. Una scelta, hanno spiegato da Peugeot, che non è legata alla decisione di Djokovic di non vaccinarsi. Ma i malumori per le posizioni no-vax di Nole sono sempre inevitabilmente più diffusi. Nelle ultime settimane anche Lacoste ha detto di voler riconsiderare la situazione del serbo. Ad oggi, almeno in questo caso, non si registrano novità.

Mentre il serbo è stato costretto a rinunciare ai master 1000 di Indian Wells e Miami (negli Stati Uniti valgono le stesse regole per gli Austrialian Open), perdendo già il regno Atp che deteneva da oltre 360 settimane, c’è chi comincia a fargli due conti in tasca, e questa vicenda rischia di costare molto cara al tennista serbo: secondo la rivista People with money, sarebbero 50 i milioni di dollari che rischia di veder svanire nel 2022 a causa dell'incidente australiano.

Comunque vada, ha già perso Djokovic: di sicuro quando, nella causa australiana dello scorso gennaio, si è quasi paragonato a Gesù in croce, offerto in sacrificio in remissione del peccato-vaccino. Eppure, senza dover scomodare l’Altissimo, sarebbe bastato un prete per spiegargli quel che dice il Vangelo di Marco: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa corromperlo; è ciò che esce da lui che lo corrompe”. Forse così il serbo si sarebbe evitato una sconfitta, la più dura di tutta la sua vita, che a 34 anni rischia di porre fine alla sua storia di vincente. Sì, perché per paura di “corrompere” il proprio fisico iniettando il vaccino, Djokovic ha fatto uscire da esso tutto il peggio: arroganza, protervia, superficialità, egoismo, disprezzo delle regole. E alla fine, la colpa più grande è proprio la sua. Chissà, forse quell’aura di divinità che gli è stata cucita addosso in tutti questi anni (e che, per la verità, vivono molti idoli dello sport) lo ha spinto troppo in alto ed è caduto dove con un conto in banca miliardario forse mai avrebbe immaginato di arrivare: il serbo deve aver pensato che essere il numero uno al mondo (come detto un regno durato oltre 360 settimane) dentro un rettangolo dove, per dirla con le parole di Adriano Panatta, “si gioca in mutande a colpire una pallina gialla” gli potesse garantire la stessa considerazione, lo stesso potere contrattuale, lo stesso divismo anche fuori. E invece, suo malgrado, ha scoperto che senza una racchetta in mano non è un re, è una persona del popolo, una qualunque, uguale a tutte le altre, con gli stessi diritti ma anche gli stessi doveri.

Chissà se potrà sentirsi di nuovo un re, chissà, soprattutto, se la “gente” lo riconoscerà nuovamente come tale.  

© Riproduzione riservata