Molti anni dopo sarebbero arrivati i grandi successi, le sfide con Milano, lo scudetto, il triplete. Ma forse non avremmo mai visto niente di tutto questo senza quella clamorosa impresa di quaranta anni fa. Quando una squadra di talentuosi scapestrati affrontò un intero campionato più o meno come se fosse una lunga gita scolastica, salvo poi far valere la propria classe nei playoff, nelle due sole partite che contavano davvero per vincere il torneo e approdare in serie B.

Risultato a sorpresa

Questa è la storia di una di quelle imprese che fanno amare lo sport, il genere in cui l’outsider batte il favorito. Il campo è quello da basket, le protagoniste sono la Dinamo Sassari e la Stamura Ancona. Con gli occhi di oggi sembra strano che la favorita fosse quest’ultima, ormai una nobile decaduta che si barcamena tra faticose salvezze in B2, mentre la Dinamo è da anni stabilmente ai massimi livelli nazionali, capace quasi sempre (in questa stagione purtroppo no) di accomodarsi al tavolo dei playoff scudetto. Ma all’epoca la tradizione cestistica di Sassari era ancora acerba, e invece in quella serie C gli anconetani sembravano una specie di schiacciasassi e avevano dominato la regular season. Ventitrè partite vinte su trenta, sempre in testa alla classifica senza troppe discussioni, favoritissimi per la fase finale che assegnava la promozione in B.

Solo che la formula dell’epoca tradì i padroni del campionato. Ai playoff si sfidavano la prima classificata contro la quarta e la seconda contro la terza, al meglio delle tre gare: andata e ritorno a campi invertiti, eventuale bella in casa della squadra meglio classificata. La Dinamo aveva agganciato il quarto posto all’ultima giornata, per un pelo, grazie alla differenza canestri e a due risultati inattesi: Campobasso aveva perso di un punto con la Fortitudo Roma, già salva, e soprattutto la stessa Ancona – ormai certa del primo posto – aveva battuto in volata Valdarno, aprendo la porta della seconda fase proprio ai sassaresi che poi l’avrebbero eliminata.

Sorpasso sul traguardo

In pratica si decide tutto nella gara di andata, il 13 maggio ad Ancona. La Dinamo, che durante il campionato ha perso in casa della Stamura e vinto a Sassari, gioca una buona partita: ma la prima della classe resta sempre davanti e quando il tempo sta per scadere ha due punti di vantaggio e la palla in mano. Il playmaker dei padroni di casa potrebbe far scorrere il cronometro fino al termine, magari farsi fare un fallo. Invece, a 12 secondi dalla fine, ha la sciagurata idea di tirare, senza centrare il canestro. La Dinamo scatta in contropiede, subisce fallo, va in lunetta e segna il primo tiro libero. Il resto lo rievoca direttamente uno dei principali protagonisti dell’impresa: Sergio Milia, il fortissimo play sassarese, figlio del presidente Dino, per molti anni la colonna portante della squadra. “A quel punto – ricorda Milia – ho avuto un’intuizione e ho detto a uno dei lunghi di spostarsi dalla linea dei liberi, così sono andato io a rimbalzo. Abbiamo sbagliato il secondo tiro, ma la palla è piovuta proprio verso di me e l’ho presa: mi hanno fatto fallo, ho segnato entrambi i liberi e abbiamo vinto”. Di un punto: 92-91. Un colpo micidiale per il morale di Ancona: la gara di ritorno a Sassari, il 19 maggio, diventa quasi una formalità, la Dinamo domina (89-68 il risultato finale) e ritorna in serie B. “Fu bellissimo – prosegue Milia, che oggi fa l’avvocato a Sassari dopo essere stato per vent’anni consigliere regionale – anche perché l’anno prima eravamo retrocessi all’ultima giornata. Si può dire che fu la ripartenza di una bellissima avventura”.

Sergio Milia con la maglia della Dinamo Sella&Mosca
Sergio Milia con la maglia della Dinamo Sella&Mosca
Sergio Milia con la maglia della Dinamo Sella&Mosca

Una rinascita resa possibile da un gruppo di giocatori rimasto nella memoria e nel cuore dei tifosi sassaresi di allora: che non erano moltissimi (il nuovo palazzetto di piazzale Segni, appena inaugurato, aveva ancora solo le gradinate laterali e spesso rimanevano comunque mezzo vuote), la vera Dinamo-mania sarebbe scoppiata solo cinque anni dopo con la cavalcata verso la serie A2. Ma erano grandi appassionati, spesso loro stessi cestisti o ex, sapevano riconoscere la classe. E in quella squadra ce n’era in abbondanza. Milia era chiaramente un giocatore da serie superiori, e infatti aveva già fatto un’esperienza in A2 con la Rodrigo Chieti. Peppone Pirisi, nel reparto dei lunghi, aveva pochi avversari a quei livelli (ed era forte anche il fratello Luca, pure lui nel roster). Gennaro Guarino era un attaccante pressoché immarcabile, spesso oltre i 30 punti nel tabellino. Ma erano ottimi elementi anche gli altri: Claudio Castagna, Giancarlo Carrabs, Giampaolo Doro, Mauro Canu, e due giocatori poi scomparsi prematuramente, Tore Fozzi e Massimiliano Ricciotti. Il coach Pierpaolo Cesaraccio completava un gruppo tutto sardo, cresciuto insieme fin dagli anni delle giovanili: “Infatti eravamo arrivati due volte alle finali nazionali juniores”, racconta ancora Sergio Milia, “ma soprattutto eravamo un gruppo di amici che si divertivano da morire. Io delle partite ho dimenticato molte cose, chi sa tutto delle vicende del campo è Guarino; ma ricordo che nelle trasferte ridevamo da matti, Pirisi e lo stesso Guarino facevano scherzi da prete. Per dire: non era strano trovarli a giocare con le uova sui tavoli da biliardo degli alberghi…”

Del resto erano poco più che ventenni, molti di loro erano nati tra il 1960 e il 1961. La Dinamo del 1983-84 era nata più dalla necessità che dalla programmazione: dopo l’addio dello sponsor Sella&Mosca era in dubbio persino l’iscrizione al campionato, poi arrivò la Mercury Assicurazioni, del presidente della Torres Bruno Rubattu, a salvare la baracca e mettere il nome sulle maglie. Ma non c’erano comunque tanti soldi per acquistare campioni dalla penisola, bisognava valorizzare quelli fatti in casa. E così avvenne. “In campionato siamo partiti in sordina, la costanza non era il nostro forte”, sorride ancora Milia, “con Ancona nella stagione regolare avevamo avuto dei match equilibrati. Ma sapevamo di essere più forti, e quando siamo arrivati ai playoff l’abbiamo dimostrato”. Prima di festeggiare lo scudetto a Sassari sarebbero poi passati altri 31 anni, in una progressione che dopo la storica gestione di Dino Milia ha conosciuto quelle dei fratelli Mele e poi dell’attuale presidente, Stefano Sardara, che ha portato i biancoblù a collocarsi tra le realtà più belle del basket italiano. Ma tutta questa storia di successi è iniziata in una calda domenica di maggio, dentro il palazzetto di Ancona, strapieno e incredulo per la storica impresa di una banda di sassaresi matti e geniali.

© Riproduzione riservata