Fu grazie a lei, si può dire, se dagli anni Cinquanta del secolo scorso il vaccino antipolio ha salvato tante vite. Se abbiamo il vaccino contro il papillomavirus, e farmaci per combattere altri tipi di cancro, medicinali per l’Aids, la leucemia, l’herpes, il Parkinson, e studi sugli effetti delle radiazioni. È grazie a lei, ancora, se sono arrivati i successi della ricerca sulle malattie genetiche, sulla procreazione assistita, la medicina di precisione. E i vaccini contro il Covid.  

Le colture di laboratorio

Henrietta Lacks e l’eredità che ha lasciato alla scienza, ovvero la prima linea di cellule immortali al mondo, coltivate dagli anni ’50 del Novecento dopo un prelievo di tessuto dal suo corpo. Cellule che grazie alla capacità di sopravvivere e riprodursi in vitro al di fuori dell’organismo, sono tuttora utilizzate nei laboratori di ogni angolo del pianeta. Fino a quel momento, è bene ricordarlo, gli scienziati avevano potuto lavorare soltanto su colture di origine animale, perché le cellule umane in vitro duravano appena qualche giorno. Un’eredità preziosissima, quindi, che col tempo ha contribuito ai grandi progressi della medicina, di cui però lei era del tutto ignara. Se per raccontare questa storia cominciamo dalla fine, va detto che lo scorso ottobre l’Organizzazione mondiale della Sanità ha omaggiato Henrietta Lacks con un riconoscimento postumo «per il suo inconsapevole e fondamentale lascito alla ricerca scientifica», ma anche perché fu «una delle tante donne nere il cui corpo è stato sfruttato e abusato dalla comunità scientifica».

La malattia più temuta

Per conoscerne la storia occorre tornare indietro nel tempo, a settant’anni fa. Nel febbraio del 1952 Jonas Salk annunciò di aver creato il primo vaccino antipolio, e quando dall’Università del Michigan la notizia era rimbalzata ovunque nel Paese, per gli americani fu un sollievo. Dalla fine del ’51 gli Stati Uniti erano alle prese con la più devastante epidemia di poliomielite, malattia infettiva (chiamata anche paralisi infantile) tra le più temute. Le scuole erano chiuse e le famiglie nel panico, si contavano migliaia di infezioni e tante vittime, ma il farmaco non poteva ancora rappresentare un’ancora di salvezza poiché bisognava prima verificarne l’efficacia e la sicurezza su larga scala. Un impegno enorme, anche per i laboratori che avrebbero dovuto eseguire i test e che, a quel punto, dovevano rifornirsi di materiale cellulare in quantità industriale. Qualcosa di inaudito, soprattutto per i costi che tutto ciò comportava.

I tre anni di esperimenti

Pur tra mille difficoltà, l’impresa riuscì e il 12 aprile del 1955 il mondo intero poteva finalmente disporre del vaccino contro il poliovirus. Ciò che successe dopo, con la vaccinazione di massa in tutto il pianeta e la concorrenza di un altro vaccino messo a punto da Albert Sabin, è stato più e più volte raccontato. Meno si sa, invece, di quanto accadde nei tre anni trascorsi dal momento in cui il professor Salk disse di avere in mano il farmaco antipolio e l’effettivo avvio della campagna internazionale di profilassi.

La segregazione razziale

In mezzo c’è la storia di Henrietta Lacks, una madre di famiglia morta di tumore e delle sue cellule immortali. C’è l’ostinazione di un medico visionario, il dottor George Gey, direttore del laboratorio del Johns Hopkins Hospital di Baltimora, che con le sue colture cellulari in provetta diede una mano fondamentale nella guerra contro il virus. C’è il lavoro dei ricercatori e dei tecnici del Tuskegee Institute, una delle più importanti università per studenti di colore. Non è affatto un dettaglio. Quelli erano anni in cui, soprattutto negli Stati del Sud, i neri non erano considerati uguali ai bianchi. Per la verità, in America (e non solo) esiste pure al giorno d’oggi gente di quest’idea, ma allora la battaglia di Martin Luther King non aveva ancora portato i suoi frutti e Rosa Parks, che nel 1955 fu arrestata perché rifiutò di cedere a un bianco il posto a sedere sull’autobus, non immaginava neanche di ribellarsi a quella ingiustizia. I neri non potevano votare e avevano scuole, ospedali, chiese, ristoranti, autobus, negozi e fontanelle separati da quelli dei bianchi. Tutto era doppio, per i bianchi e per i colored.

La raccoglitrice di cotone

Direte, cosa c’entra il vaccino antipolio con la segregazione razziale? C’entra, eccome. C’entra perché si deve al lavoro di un ospedale, appunto il Johns Hopkins di Baltimora, allora tra i pochissimi in America a curare anche le persone povere e di colore, se è stato possibile sperimentare su larga scala, e dunque in tempi ridotti, l’efficacia del vaccino antipolio, dando una spinta decisiva alla produzione e quindi alla campagna di immunizzazione.

Tutto grazie alla scienza e alle cellule prodigiose di Henrietta Lacks, una trentenne (anche lei nera) residente a Baltimora e madre di cinque bambini, uccisa nell’ottobre del 1951 da un cancro alla cervice uterina.

I suoi antenati erano stati schiavi, lei stessa lavorava nei campi di cotone, a stento sapeva leggere e scrivere, eppure si può dire che è grazie al suo contributo - e al tessuto malato prelevato dal suo corpo senza il suo permesso (ancora il concetto di consenso informato non esisteva, tantopiù nel caso di una paziente nera) - se dalla seconda metà del Novecento la scienza medica ha fatto passi da gigante. Sono sue, infatti, le cellule HeLa - la prima linea cellulare derivata da cellule umane - che ormai da settant’anni vengono utilizzate nei laboratori di tutto il mondo. Cellule che, a causa di una mutazione, si sono dimostrate immortali, prive dei meccanismi che limitano il numero di volte in cui le cellule sane possono dividersi, e che continuano a moltiplicarsi dando modo agli scienziati e ai ricercatori di avere materiale inesauribile per le loro ricerche.

I diritti violati

Oggi, per la verità, sono diverse le linee cellulari, umane o animali, conservate su provette e piastre nei laboratori (Hek293, Kbm-7, Hap-1 sono alcune sigle), ma le HeLa sono state in assoluto le prime colture di cellule umane, ancora oggi appunto molto usate. Negli ultimi due anni, per esempio, ci hanno aiutato a conoscere i meccanismi del virus Sars-Cov-2. «Il più celebre forse - ha spiegato all’Adnkronos Salute il genetista Giuseppe Novelli - è lo studio pubblicato a marzo su Nature che ha evidenziato il ruolo del recettore dell’enzima Ace2 per consentire al virus di penetrare nelle cellule umane».

La storia di Henrietta Lacks è però anche un concentrato di ingiustizia e razzismo, nonché di violazione della privacy e dei diritti delle donne. Al tempo in America non esisteva il consenso informato, ma è vero che di quel prelievo di tessuto malato dal corpo di Henrietta i suoi familiari non hanno saputo alcunché fino agli anni Settanta, e dopo - ancora per decenni - non hanno ricevuto alcun risarcimento, mentre i successi della ricerca scientifica portavano una montagna di soldi all’industria farmaceutica e biotech. È una storia, questa, di un’inconcepibile violazione della privacy perché si è arrivati persino alla pubblicazione del sequenziamento del Dna delle cellule HeLa, quindi alla rivelazione di dati sensibili dei familiari.

Black Lives Matter

A ottobre 2020, la svolta. Intanto un primo riconoscimento economico alla Henrietta Lacks Foundation: centinaia di migliaia di dollari donati dall’Howard Hughes Medical Institute, il gigante no profit della ricerca biomedica negli Stati Uniti. Poi l’omaggio dell’Oms, con una cerimonia nella sede di Ginevra. «Henrietta - ha detto il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus - è una delle tante donne nere il cui corpo è stato sfruttato e abusato dalla comunità scientifica. Era una donna che aveva fiducia nel sistema sanitario, cui si era rivolta in cerca di una terapia per la sua malattia. Eppure quello stesso sistema che cercava di salvarla si è impadronito di una parte di lei». Altre ingiustizie, però, ha aggiunto, sono state fatte dopo «quel primo furto». Le conoscenze che ne sono derivate, ha spiegato Ghebreyesus, «non sono state condivise in modo equo nel mondo. Nei Paesi in cui il cancro della cervice è più diffuso, non ci sono dosi sufficienti di vaccino contro l’HPV, il papillomavirus che rappresenta la principale causa di questo tumore. E anche i vaccini contro Covid-19, che pure devono molto alle linee cellulari HeLa, non sono stati distribuiti a sufficienza nei Paesi a medio e basso reddito. Per questo dobbiamo sanare questa ingiustizia rendendo onore a Henrietta. Anche nella salute e nella scienza, Black Lives Matter».

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