Il suo destino è stato scritto il 9 settembre del 2001, due giorni prima dell’11 settembre che cambiò il mondo e anche il futuro dell’Afghanistan. Ahmad Massoud ha un nome e un’eredità pesante: oggi a 32 anni rappresenta una speranza, forse l’unica o certamente una delle poche, per il suo paese. Suo padre, il Leone del Panshir, Ahmad Shah Massoud, il 9 settembre di vent’anni fa fu ucciso da due terroristi islamici tunisini che si spacciarono per giornalisti. I due riuscirono a introdursi nel complicato sistema di controllo messo insieme dai tagiki che da sempre popolano la valle del Panshir, ultimo bastione della resistenza afghana ai tempi dell’invasione sovietica e poi dell’offensiva talebana. Questo piccolo lembo di terra asiatica è sempre riuscito a resistere agli invasori e oggi, in un quadro geopolitico in cui le contrapposizioni oltre che ideologiche sono soprattutto etniche e tribali, potrebbe rappresentare l’unica spina nel fianco del nuovo ordine afghano controllato dalle milizie talebane, che apparentemente si mostrano all’insegna dell’apertura (vera o falsa sarà da vedere) e cercano un ampio riconoscimento nel resto del mondo islamico.

Chi è

Ahmad Massoud, 32 anni, ne aveva appena undici quando il padre Ahmad Shah Massoud fu assassinato da Al Qaeda. Allora il Leone del Panshir era considerato quasi una figura mitologica, capace di resistere ai sovietici prima e ai talebani poi, l’ispiratore di tutti coloro che hanno sempre creduto in un Afghanistan libero. Oggi il figlio, dopo aver frequentato college e accademie militari inglesi (niente meno che Sandhurst in Gran Bretagna, poi il King’s College e il City College) si pone di nuovo alla testa della resistenza afghana con un appello pubblicato sulle principali testate europee, a cui ha fatto seguito un altro richiamo ripreso mercoledì dal Washington Post. Al suo fianco si è schierato anche il vicepresidente del deposto governo afghano Amrullah Saleh che annuncia di volersi opporre agli studenti islamici e si autoproclama unico presidente dello Stato asiatico. La resistenza ai talebani, dunque, trova nel Panshir ancora una volta l’ultimo bastione alla resistenza contro gli invasori, che siano studenti islamici allevati in Pakistan o russi che volevano imporre un regime filosovietico al posto di quello guidato da Mohammed Daud Khan, anche lui salito al potere dopo un golpe nella seconda metà degli anni Settanta. L’instabilità politica del Paese, allora, portò alla guerra con la Russia in cui Ahmad Shah Massoud si distinse nella sua regione fino ad arrivare nel 1995 a occupare anche il ministero della Difesa, per poi rifugiarsi nel suo Panshir e riprendere la guerriglia non più contro i russi ma contro i talebani.

Una conferma, dunque, che l’enclave dei tagiki in Afghanistan è sempre stata una roccaforte contro le invasioni e un barlume di speranza per chi ha sempre sognato un Paese libero.

Il mito

Tutto questo ha contribuito a raccogliere sogni e speranze intorno alla figura del Leone del Panshir, considerato un vero eroe della resistenza afghana a cui oggi è stato dedicato anche un mausoleo nel territorio controllato dall’etnia tagika in Afghanistan. Figlio di un militare, nato nel 1953 nell'alta valle del Panshir, tra i villaggi di Bazarak e di Jangalak, Ahmad Shah Massoud, si trasferì da piccolo a Herat e poi a Kabul dove il padre ebbe incarichi importanti nella Polizia del Paese. Grazie a questo frequentò scuole internazionali, come il liceo francese, e studiò architettura, imbevendosi di cultura occidentale senza mai perdere di vista l’islamismo. Nel 1972 entrò a far parte dell’Organizzazione delle gioventù musulmane che faceva riferimento al professore Burhanuddin Rabbani, oppositore del più estremista Gulbuddin Hekmatyar. A fianco del primo il Leone del Panshir combattè anche dopo il ritiro dei sovietici e si guadagnò così la nomina nel governo quale ministro della Difesa nel 1992, dopo gli accordi post guerra. Da metà degli anni Novanta, tuttavia, dovette fronteggiare una nuova offensiva, quella dei talebani, a cui si opponeva, forte della sua cultura moderna e del sogno di un Afghanistan libero e indipendente, così come è sempre stato il suo Panshir.

L’eredità

Fin dalla morte del mitico comandante Massoud, il figlio che porta lo stesso nome, è stato trattato come un predestinato dai combattenti del Panshir, l’unica ancora oggi a non essere sotto il controllo del regime islamico dei Mullah.

“Ho ereditato da mio padre, l’eroe nazionale e comandante Massoud, la sua lotta per la libertà degli afghani. Questa lotta è ora mia, per sempre”, ha affermato Ahmad Massoud in un appello rilanciato da molti quotidiani europei tra cui la Repubblica. “La tirannia trionfa in Afghanistan” e “nel chiasso e nel furore, s’instaura la schiavitù”, ha aggiunto, rivolgendosi poi “a voi, afghani di tutte le regioni e tribù, e vi invito a unirvi a noi. Mi rivolgo a voi, afghani al di là delle nostre frontiere, che avete l’Afghanistan nel cuore, per dirvi che avete dei compatrioti qui nel Panshir, dove mi trovo di nuovo, che non hanno perso la speranza. Mi rivolgo a tutti voi, in Francia, in Europa, in America, nel mondo arabo, o altrove, che ci avete aiutato tanto nella nostra lotta per la libertà, contro i sovietici in passato, contro i talebani venti anni fa: ci aiuterete ancora?”, si chiede il figlio del leggendario comandante.

Il pensiero poi torna indietro alla metà del Novecento. “Noi afghani siamo nella stessa situazione dell’Europa nel 1940. Siamo rimasti soli” per poi garantire: “Non ci arrenderemo mai”. E dopo una citazione di Winston Churchill (“abbiamo perso una battaglia ma non la guerra”), lancia l’appello finale: “Unitevi a noi, in spirito o con un sostegno diretto. Siate, amici della libertà, il più possibile numerosi al nostro fianco. Insieme scriveremo una nuova pagina nella storia dell’Afghanistan. Sarà un nuovo capitolo dell’eterna resistenza degli oppressi contro la tirannia”.

L’appello

Non si tratta solo di combattere ma anche di trattare. Uno zio di Ahmad Massoud, fratello del padre, ha fatto parte della delegazione che ha partecipato a Doha al tavolo con i talebani. Il figlio dell’eroe del Panshir, dunque, è convinto che passare solo per le armi non sia possibile, ma queste sono fondamentali per tenere lontani dall’enclave tagika le milizie islamiche. “Abbiamo tante armi, che abbiamo immagazzinato negli anni sapendo che questo giorno poteva arrivare”, ha scritto Ahmad Massoud nell’appello pubblicato invece dal Washington Post, “Abbiamo anche le armi di chi si è unito a noi nelle ultime 72 ore, e i soldati dell’esercito che hanno rifiutato di arrendersi, disgustati dalla decisione dei loro comandanti di abbandonare città e villaggi davanti all’avanzata talebana”. Nella Valle, "sventolerà la bandiera dell'Alleanza del Nord" quella issata dal Leone del Panshir nel 1996 contro i Talebani.

A questo punto, Ahmad Massoud chiede agli Stati Uniti, dopo il loro ritiro, che l’America sia “un grande arsenale per la democrazia”, citando questa volta Franklin Roosevelt e chiedendo al mondo occidentale di fornire armi alla resistenza afghana. “Non importa cosa succeda, con i mujaheddin difenderemo il Panshir, ultimo bastione della libertà afghana", promette il figlio del comandante Massoud.

Il sogno di un Afghanistan libero e indipendente, magari anche con un governo democratico e condiviso, dunque, resta in piedi, nel nome del sacrificio di suo padre. Un piccolo barlume di speranza per tanti afghani.

© Riproduzione riservata