“Ho letto quasi piangendo l’articolo che Boris Johnson ha scritto dopo essere rientrato dalla sua visita a Kiev. È andato lì privatamente - non è più primo ministro – ha fatto il giro a Bucha e Irpin e ha scritto un pezzo sul Daily Mail, che è uno dei tabloid più trucidi che ci siano nel Regno Unito: meraviglioso. Meraviglioso, scritto molto bene, con tutte le cose giuste messe in fila… E io l’ho letto quasi piangendo perché a ogni punto dicevo: maledetta Brexit”. Chi parla è Paola Peduzzi, vicedirettrice del Foglio, intervistata da Eugenio Cau del Post per il podcast Globo. E se ha commosso lei, che in fatto di giornalismo anglosassone ha un palato finissimo e di certo non si nasconde i chiassosi difetti dell’ex primo ministro britannico, il pezzo doveva essere ottimo.

Ecco, la buona notizia è che ora Johnson ne firmerà molti altri. Dimissionario da deputato per evitare un’abnorme sospensione di tre mesi per aver mentito al Parlamento sul Partygate – cioè gli incontri e gli spuntini in cui ignorava serenamente le restrizioni anticovid imposte dal suo governo ai cittadini – BoJo ha firmato un contratto da opinionista proprio col Daily Mail. Venerdì 16 un servizio dell’Ansa ipotizzava in 500mila sterline l’anno il compenso per una rubrica settimanale.

Sia chiaro: non è una metamorfosi o un riciclaggio professionale ma un ritorno, visto che il giornalismo per Johnson è stato un primo amore, intrecciato alla passione politica e alla lunga funzionale alla costruzione di un personaggio e di una carriera.

Eppure l’esordio non è felice. Assunto 23enne al Times, dopo pochi mesi infila in un articolo su un ritrovamento archeologico una pruriginosa citazione inventata di sana pianta e la attribuisce allo storico Colin Lucas, peraltro suo padrino di battesimo. Chiaramente lo licenziano ma lui non si perde d’animo né rinuncia alla creatività più accesa. Un giornalista di lungo corso come Giampiero Gramaglia si è fatto un’idea chiara sul suo conto negli anni di Bruxelles, dove entrambi seguivano la Commissione europea di Jacques Delors, uno per l’Ansa e l’altro per il Daily Telegraph. In un pezzo scritto per Democrazia Futura e pubblicato da Key4News il 25 agosto scorso, dipinge così “il collega Boris, che parlava sempre ad alta voce e che, nelle veglie dei Consigli dei Ministri che finivano all’alba, faceva crocchio al bar con i britannici e gli irlandesi, la pinta di birra in mano, scrisse articoli in serie su storie totalmente inventate, ma destinate a diventare, grazie a lui, o, meglio, per colpa sua, “euromiti”: raccontò che Bruxelles voleva bandire le patatine ai gamberetti e le salsiccette britanniche; e standardizzare le misure dei preservativi, nonostante gli italiani “ce l’abbiano più piccolo”; che la Commissione aveva reclutato “odoratori” professionisti per accertarsi che il letame europeo avesse ovunque lo stesso odore; che gli eurocrati erano pronti ad armonizzare la curvatura delle banane, a limitare la potenza degli aspirapolvere e a imporre alle donne di dare indietro i loro vecchi giocattoli sessuali; che le banconote in euro rendono impotenti e gli spiccioli malati”.

Quelle cronache fantasiose lasciano di stucco i dirigenti europei ma garantiscono a Johnson la benevola attenzione di Margaret Thatcher, prima ministra turboliberista ed euroscettica. Così, dopo un decennio in cui firma prima su “The Spectator”e poi su “GQ” e le sue apparizioni sulla Bbc si infittiscono, per lui nel 2001 il salto a Westminster nei banchi Tory è abbastanza naturale. Il suo modello politico però non è tanto la Lady di ferro quanto Winston Churchill, non a caso l’unico statista ad aver ottenuto il Nobel per la letteratura.

E in effetti la retorica del Johnson politico è efficace e ricca quanto quella del Johnson giornalista, ma anche altrettanto impermeabile alla grettezza dei fatti. Il suo capolavoro di indifferenza rispetto alla realtà è la campagna elettorale a favore della Brexit, che vince contro i pronostici guadagnandosi, dopo la demoralizzante premiership di Theresa May, l’ingresso a Downing Street. Ma se l’elettorato può e spesso vuole deglutire sorridendo le insincerità dei leader, il Parlamento invece non ne ha la minima intenzione. Almeno in Gran Bretagna.

Così una breve ma variopinta collezione di inversioni a U (gestione della pandemia), bugie (Partygate) e ammissioni imbarazzate (sì, a pensarci meglio sapeva anche lui dei trascorsi da molestatore di Christopher Pincher quando lo volle vice-capogruppo conservatore) il 7 luglio gli costa la detronizzazione da leader Tory e quindi anche da primo ministro e neppure un anno dopo, nei giorni scorsi, le dimissioni da deputato per evitare la sospensione-monstre da Westminster come Bugiardo in Aula.

Abbastanza naturale quindi che ora, inceppata la carriera politica, Johnson faccia rotta su quella giornalistica, il primo amore professionale. In effetti lo aveva già fatto nel 2018: dopo essersi dimesso da ministro degli Esteri e prima di diventare primo ministro firmò un contratto di collaborazione da 275mila sterline annue col Telegraph. All’epoca incassò, spiegava l’Ansa nei giorni scorsi, anche una dura reprimenda dall’Acoba, l’Advisory Committee on Business Appointments, “organismo indipendente al quale gli ex membri del governo in teoria devono chiedere consiglio prima di accettare un lavoro nei due anni successivi alla loro uscita dall’esecutivo”. Lo stesso organismo al quale adesso avrebbe dovuto chiedere un punto di vista prima di accettare il contratto da rubrichista sul Daily Mail e che invece ha snobbato. Il portavoce di lord Eric Pickles, presidente dell’Acoba, ha ammesso che “firmare commenti per un giornale non è considerato un problema significativo”, tuttavia è “inaccettabile” che BoJo per la seconda volta in pochi anni abbia ignorato un organismo parlamentare di controllo. E così l’Acoba scriverà di nuovo a Johnson, tirandogli le orecchie e probabilmente convocandolo per un chiarimento.

Ma un uomo che ha appena perso gran parte del suo enorme potere, e che gestendolo ha dato prova di una spregiudicatezza fuori standard, difficilmente si farà impressionare dal digrignar di gengive di un organismo che gli stessi britannici definiscono “sdentato”. E comunque non sarà per questa piccola, collaterale controversia che Johnson passerà alla storia.

Per il momento in ogni caso passa alla cronaca. O meglio ci ritorna, ogni sabato.

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