Nel 2017 la regione di Leiria, nella provincia portoghese di Beira, fu devastata da un incendio in cui morirono 66 persone e furono distrutti oltre 20mila ettari di foresta: la responsabilità, decretarono gli scienziati, era da ricercare nella crisi climatica. 

Dopo quella tragedia, sei giovani portoghesi non sono rimasti con le mani in mano: hanno ritenuto che la politica ambientale da parte di molti governi fosse assolutamente inadeguata a combattere i cambiamenti climatici. Così hanno fatto causa ai 27 Stati membri dell’Ue — quindi anche l’Italia — più Norvegia, Svizzera, Regno Unito, Turchia, Ucraina e Russia (che però non fa più parte della Corte in seguito all’invasione dell’Ucraina): in totale 33 Paesi che dovranno discolparsi dall’accusa  di aver violato i diritti umani perché non stanno riducendo le emissioni nazionali di CO2 abbastanza velocemente.

Cláudia Agostinho, Martim Duarte Agostinho, Mariana Agostinho, Catarina Mota, Sofia Oliveira e André Oliveira, che hanno tra i dieci e i ventitré anni,  accusano i governi di non rispettare gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi del 2015, costringendoli quindi all’esposizione a temperature altissime nei prossimi anni, se non ci sarà un’inversione di rotta nelle politiche ambientali, e agli incendi, tempeste atlantiche e maggiore diffusione di malattie infettive che verranno di conseguenza all’innalzamento delle temperature: tutto ciò va contro, sostengono, gli articoli 2, 8 e 14 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, che tutelano i diritti alla vita, alla vita privata e quello a non subire discriminazioni.

Inoltre affermano che questa situazione li ha portati a soffrire di ansia climatica, di cui anche in Italia si è parlato due mesi fa, dopo che al Giffoni Film Festival una giovane in lacrime aveva confessato al ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, le sue paure per il futuro in un mondo devastato dai cambiamenti climatici.

Mercoledì 27 settembre i sei giovani portoghesi hanno presentato a Strasburgo, alla Corte Europea per i diritti dell’uomo, le loro rimostranze di fronte ai giudici e agli oltre 80 avvocati che difendono i 33 Paesi chiamati in causa.

Che il caso Duarte Agostinho, dal cognome di tre dei giovani ricorrenti, riesca o no vincitore, creerà comunque un grande precedente: è la più ampia azione legale mai intrapresa in ambito climatico ed è la prima volta che, per un caso di politica ambientale, viene scomodata la Corte Europea per i Diritti dell’uomo, creata nel dopoguerra pensando alle atrocità commesse durante la seconda guerra mondiale. «Le politiche climatiche dei governi europei sono in linea con un catastrofico scenario di riscaldamento globale di 3 gradi in questo secolo» spiega Gerry Liston, uno degli avvocati del team di Global Legal Action Network, che sostiene l’iniziativa, finanziata tramite crowdfunding.

Save the children interviene come terza parte con un’istanza sulla vulnerabilità specifica dei bambini agli effetti della crisi climatica, teso ad illustrare l’impatto sul loro diritto alla sicurezza, alla salute, all’istruzione e a un futuro prospero.

La sentenza arriverà non prima del 2024, ma la causa è già entrata nella storia. E intanto nel mondo si moltiplicano i casi di attivisti che si rivolgono ai tribunali per promuovere dei contenziosi sul clima. In Italia una causa ambientale contro lo Stato è stata promossa nel 2021 dall’associazione ecologista indipendente A sud (e sostenuta da vari enti) e attualmente viene dibattuta a Roma: la speranza è che l’Italia venga condannata al rispetto degli impegni sulla diminuzione delle emissioni di Co2, in modo da combattere efficacemente il riscaldamento globale e garantire un futuro salubre alle nuove generazioni.

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