È innegabile, la pandemia ha rimischiato le carte dell’esistenza umana e forse ha persino deciso di cambiare le regole con le quali si è giocato per secoli. Di sicuro a farne le spese è stata la nostra quotidianità, fino al febbraio 2020 scandita da ritmi prestabiliti e binari tracciati da tempi lontanissimi, da accettare, nella stragrande maggioranza dei casi, volenti o no.

Il virus però ha dimostrato di sconvolgere le nostre vite oltre i morti, le quarantene, i lockdown e i reparti di Rianimazione stracolmi. Sembra infatti aver aperto gli occhi di milioni di persone non più disposte a tornare alla normalità che conoscevano.

Tra le tante conferme spicca l’ultimo rapporto stilato dalla Fondazione dei Consulenti del lavoro dal quale è emerso il malumore espresso da oltre la metà degli italiani per non essere soddisfatti del proprio impiego, e di conseguenza della propria vita. Un malessere che sta portando già da ora il 15% della popolazione a cercare una nuova occupazione: più stimolante, ma soprattutto meglio retribuita. Ma non solo, a crollare nel post-pandemia è anche una delle certezze più granitiche per gli italiani: la voglia di garantirsi un tranquillo e sicuro posto fisso.

Rivoluzione smart

Gli analisti appassionati di neologismi e acronimi l’hanno già ribattezzata “Yolo economy” da “You only live once”, tradotto grossolanamente: “Si vive una volta sola”. Una sola vita quindi da sfruttare al massimo cercando il meglio che si possa avere con il minor numero di compromessi.

Non a caso dalla ricerca della Fondazione «il 49% degli italiani indica tra i requisiti irrinunciabili della nuova occupazione un maggiore equilibrio personale, livelli minori di stress e più tempo da dedicare a se stessi. Il benessere individuale, complice anche i due anni di pandemia, è l’obiettivo soprattutto di under 35 e 35-44enni, prioritario rispetto allo stesso miglioramento economico».

In questa nuova quanto intrigante ricerca di un’esistenza più a misura d’uomo lo smart working ha di sicuro giocato un ruolo fondamentale. «Se nel 2021 gli stessi lavoratori da casa fornivano un giudizio ambivalente, evidenziando le criticità connesse al lavoro da remoto – spiegano gli esperti - nel 2022 ben l’84,2% dei lavoratori “agili” promuove a pieni voti questo modello, perché concilia lavoro e vita privata. Il 31,8% degli italiani non accetterebbe di tornare a lavorare in presenza, il 16,9% cambierebbe lavoro e il 9,3% potrebbe addirittura licenziarsi».

Tuttavia, Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, non si lascia andare a facili trionfalismi: «Rivoluzione tecnologica e smart working stanno cambiando i modelli organizzativi e definendo un nuovo approccio verso il lavoro. Lo smart working è una modalità che ben concilia il lavoro con la vita privata, ma va ben strutturato perché diventi un’opportunità per il futuro».

Stipendi e paure

Il panorama non sarebbe però completo se si nascondesse sotto il tappeto il problema della mancata crescita del lavoro in Italia nell’ultimo ventennio. «La dinamica congelata dei salari, ma ancora di più, delle carriere e dei percorsi professionali – proseguono i consulenti - riflesso incondizionato di un Paese che non riesce ad invertire il ciclo di stagnazione, genera un senso diffuso di frustrazione tra i lavoratori, soddisfatti solo a metà del proprio lavoro».

Lo spirito rivoluzionario mostrato da milioni di italiani deve infine fare i conti con il portafogli. «Lo scoppio della crisi internazionale e l’impennata inflazionistica degli ultimi mesi, unitamente alla ripresa di molti consumi ridottisi durante la pandemia, hanno costretto le famiglie lavoratrici ancora in una situazione di grossa difficoltà – sottolineano gli autori del report -, più della metà (52,7%, percentuale simile a quella dell’anno passato) ha avuto problemi a far fronte alle spese, il 40,6% ne ha tagliate alcune, l’11,9% quelle essenziali, mentre il 4,5% si è indebitato o ha chiesto prestiti».

Futuro

Ed ecco che il futuro delle famiglie italiane si trasforma in un delicato gioco di equilibri, nel quale soppesare attentamente pro e contro di un’esistenza più gratificante. Ma nel quale anche comprendere che, forse, una parte delle aspettative economiche desiderate servono solo a soddisfare un consumismo che non aveva contagiato in maniera così profonda le generazioni passate. Il segreto della felicità, rischiando di scadere nella psicologia da quattro soldi, potrebbe quindi essere quello di cedere ad affetti, esperienze ed emozioni lo spazio lasciato alla frenesia di aggiudicarsi l’ultimo smartphone o il tv ultrasottile ad alta definizione, da portarsi a casa al costo di ben più di un sudato, mal digerito, stipendio.

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