I negozi, quelli di mattoni, carne e ossa (questi ultimi, sono i titolari e i commessi), dovranno mettersi l’anima in pace: dopo l’impennata dovuta alla pandemia da Covid, quando i lockdown dei governi Conte costringeva a tenere le saracinesche abbassate, la Web economy è decollata come non mai. Ma quando l’emergenza è passata e siamo di nuovo tornati liberi di muoverci a nostro piacimento, non è mai riatterrata, anzi: vola ancora, sempre più in alto. Nel nostro Paese come nel resto del mondo.

Le stime del quotidiano on line “Sharing media” prevedono un 2023 in cui i soldi degli italiani non solo continueranno a muoversi su Internet, per quanto riguarda gli acquisti di beni e servizi, bensì aumenteranno. Le stime parlano di una crescita ulteriore del 18% per le vendite online di prodotti, che dunque dovrebbero raggiungere un controvalore di 39,2 miliardi di euro, ma a schizzare verso l’alto sono anche i servizi: in questo caso l’incremento è di oltre un quinto, precisamente del 22%, che in euro significa 18,2 miliardi nel corso dell’intero 2023.

La ricerca di “Sharing media” rivela che nel territorio nazionale sono 75mila le aziende che vendono online. Per la maggior parte sono società di capitali, che fanno la parte del leone superando la metà del valore delle transazioni totali: per loro, il dato delle vendite sul Web assegna a queste società il 54%. Circa una su cinque ha sede in Lombardia (per la precisione, il 19%), segue il Lazio con il 10%, poco distante la Campania che mette a segno un 9% delle transazioni commerciali su Internet e subito dopo c’è il Veneto con l’8,5%. Inutile cercare la Sardegna: i suoi volumi d’affari, assieme alla ridotta popolazione che vive nell’Isola, la pongono in una posizione ovviamente non di vertice.

La sintesi è di Viola Lala, amministratrice delegata della startup “Sharing media”, che offre anche altri dati interessanti. Ad esempio, la ricerca fornisce anche una specie di “identikit” delle aziende italiane che operano nell’e-commerce, cioè nel commercio elettronico con vendite attraverso Internet. Nel nostro Paese sono censite 75mila imprese che vendono online, e per poco più della metà sono società di capitali, una quota che costituisce il 54%. Praticamente quasi tutte (la percentuale è dell’89) hanno fatturati inferiori ai cinque milioni di euro e hanno meno di cinque dipendenti (in questo caso, sono il 64%). Una su cinque ha sede in Lombardia (19%), mentre una su dieci è nel Lazio (esattamente il 10%). Poco lontani la Campania (9,5%) e il Veneto (9%). In discesa, si trovano poi l’Emilia Romagna con l’8%, la Toscana con il 7,5% e il Piemonte con il 7%, seguiti da Sicilia e Puglia (6% ciascuna). Messe insieme, queste dieci regioni mettono a segno l’81% del giro d’affari nazionale per quanto riguarda il settore delle vendite online.

Secondo le previsioni della startup, l’anno prossimo andrà ancora meglio, in questo settore che ha conosciuto un’impennata durante i lunghi periodi di lockdown e di negozi chiusi dovuti alla pandemia da Covid-19, che dopo la fase più acuta e severa ha comunque lasciato negli italiani una nuova (per molti) abitudine legata agli acquisti sulla Rete. Per il 2023, il commercio online è stimato in salita al 18%, con un giro d’affari pari a 39,2 miliardi. Fin qui i beni: per quanto riguarda invece i servizi, la previsione per il 2023 è di un incremento del 22% pari a 18,2 miliardi di euro. Non è poco, considerato che quest’anno si registra un’impennata del 59%.

Poi c’è il capitolo dei trend, cioè delle tendenze, previsti per l’anno che sta per arrivare. La stessa “Sharing media” ritiene che saranno introdotte nuove formule e nuovi strumenti che consentano di raggiungere una grande esposizione mediatica. Questo, perché nel 2023 sarà disponibile il Bonus pubblicità innalzato al 75%, per consentire un’esposizione mediatica che consenta una rapida ripresa alle aziende duramente colpite dalla crisi prima per via del Covid, ora per i costi aumentati legati all’energia e ai rincari dei beni e dei servizi che vendono. È quindi prevedibile che l’e-commerce, nell’anno alle porte, sarà ancora più presente nella nostra vita quotidiana. Con buona pace dei negozianti, che già se la passano piuttosto male, ma questa tendenza pare essere inarrestabile.

© Riproduzione riservata